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MEDEA. 210
E se medesmo infiamma,
E le passate forze
Va tutte reintegrando.
L’ho veduta sovente
Furibonda tirar gli Dei dal cielo:
Hor Medusa s’apparecchia
Di far più mostruosa opra, ch’ancora
Habbia fatto giamai.
Perciò, che tosto, ch’ella
Con attoniti passi
Entrò nel chiuso; e si accostò a gli altari,
Sparse tutte sue forze,
E tutto quello, ch’ella
Stessa temeo, spiegò, spiegando insieme
Ogni sorte di male.
Con la sinistra man toccando i sacri
E santi Altari, disse
Le segrete parole,
Chiamò qualunque peste
Produce Libia ne la calda arena.
E quante ne ritien Tauro coperte
Sempre di ghiaccio e neve,
Et ogni Mostro. Così prestamente
Da le caverne loro
Tratte da carmi e Magici parole
Vi venne una gran torma
Di squamosi serpenti:
Che vibrando tre lingue, e gonfi d’ira,
A gli accenti mirabil, in un punto
In più nodi avolgendo
La velenosa coda,
Stupidi si fermaro.
Et ella: picciol mali,
Et arma troppo vile