Pagina:Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri.djvu/59

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quitates Valentinae Francisci Aligerii qui se dicit Dantis tertii filium». Credè il marchese Maffei1 che in questo titolo vi sia corso errore, e che in vece di Valentinae legger si dovesse «Veronenses» giacchè non si sa che Francesco viaggiasse in lontani paesi. Ma egli s’ingannò dopo altri, mentre sotto un tal titolo non si accennano che le antichità raccolte in Trevi dalla casa Valenti, ed illustrate in detta opera la quale forse non in sostanza diversifica dal manoscritto in 4.° di sedici pagine in circa, che era nella libreria del Convento di S. Marco di questa città di Firenze de’ Padri Domenicani2 intitolato «Inscrip-

    iscrizioni, i quali sono stampati in principio di detta raccolta in Firenze nel 1731. per opera del defunto proposto Antonio Francesco Gori in foglio.

  1. Osservazioni letterarie vol. VI. pag. 314.
  2. Il padre Zaccaria nel XIII. vol. della sua storia letteraria d’Italia a pag. 245. in nota riferisce il titolo di quest’operetta come esistente in un codice di detta libreria di cose parte raccolte parte descritte dal padre Giovan Battista Bracceschi Domenicano, così: «Inscriptiones quaedam in marmoribus, et urnis sepulcrorum cum annotationibus Francisci Aligerii Dantis III.» se così fosse, caderebbero a terra le mentovate congetture. Attesa la confusione dei manoscritti di quell’insigne biblioteca io non ho potuto con gli occhi propri dilucidare questo dubbio. Per altro credo che s’ingannasse senza fallo il canonico Angiolo Maria Bandini, quando nelle sue annotazioni alla vita del Doni, pubblicata insieme con le lettere nel 1755. pag. XIV. in nota, fra i Fiorentini raccoglitori d’iscrizioni, annovera Piero Alighieri «qui se Dantis tertium filium dicit». invece del predetto Francesco. Il fatto è che Benedetto Valenti uomo dotto e amantissimo delle antichità si era formato nella sua casa di Trevi un nobil museo. Il nostro Francesco di lui amico, e molto portato per lo studio delle lapidi, e delle statue antiche prese ad illustrare col suo ingegno, e con la sua penna quei monumenti con due latini dialoghi. Il primo composto di tre interlocutori il Valenti stesso, Francesco Aligeri, e Xanto Ponzio uscì in luce dalle stampe di Roma nel 1537. col titolo di Antiquitates Valentiae, titolo che non intesero nè il Maffei nè il Mazzucchelli. Il secondo dialogo indirizzato al medesimo Valenti, dove si parla di alcune teste di marmo, di Giano, per esempio, di Marsia, di Onfale ec. la prima volta è stato pubblicato da un manoscritto dei Valenti di Trevi, in ottavo luogo nel vol. 2.° degli «anecdota litteraria ex manoscriptis codicibus» l’anno 1774. in Roma in 8.° con una erudita prefazione dell’abate Cristoforo Amaduzzi in cui illustra