Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/112

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libro quarto 97

Per lo pendaglio all’omero la spada,
E i bei calzar sotto i piè molli avvinse:395
Poi, somigliante nell’aspetto a un Nume,
Lasciò la stanza rapido, e s’assise
Di Telemaco al fianco; e, Qual, gli disse,
Cagione a Sparta su l’immenso tergo
Del negro mar, Telemaco, t’addusse?400
Pubblico affare, o tuo? Schietto favella.
     E in risposta il garzon: Nato d’Atréo,
Per risaper del genitore io venni.
In dileguo ne van tutti i miei beni,
Colpa una gente nequitosa, e audace,405
Che gli armenti divorami, e le gregge,
E ingombra sempre il mio palagio, e anela
Della madre alle nozze. Io quindi abbraccio
Le tue ginocchia, e da te udir m’aspetto,
O visto, o su le labbra inteso l’abbi410
D’un qualche vïandante, il tristo fine
Del padre mio, che sventurato assai
Della sua genitrice uscì dal grembo.
Nè timore, o pietà così t’assalga,
Che del ver parte ti rimanga in core.415
Venne mai dal mio padre in opra, o in detto,
Bene, o commodo a te là ne’ Trojani
Campi del sangue della Grecia tinti?