Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/124

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libro quinto 109

     E nuovamente il non bugiardo veglio:
D’Itaca il Re, che di Laerte nacque.695
Costui dirotto dalle ciglia il pianto
Spargere io vidi in solitario scoglio,
Soggiorno di Calipso, inclita Ninfa,
Che rimandarlo niega; ond’ei, cui solo
Non avanza un naviglio, e non compagni,700
Che il trasportin del mar su l’ampio dorso,
Star gli convien dalla sua patria in bando.
Ma tu, tu, Menelao, di Giove alunno,
Chiuder gli occhi non dei nella nutrice
Di cavalli Argo: chè non vuole il fato.705
Te nell’Elisio campo, ed ai confini
Manderan della terra i Numi eterni,
Là ’ve risiede Radamanto, e scorre
Senza cura, o pensiero, all’uom la vita.
Neve non mai, non lungo verno, o pioggia710
Regna colà; ma di Favonio il dolce
Fiato, che sempre l’Oceáno invia,
Que’ fortunati abitator rinfresca.
Perchè ad Elena sposo, e a Giove stesso
Genero sei, tal sortirai ventura.715
Tacque, e saltò nel mare, e il mar l’ascose.
     Io, da varj pensier l’alma turbato
Movea co’ prodi amici in ver le navi.