Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/208

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libro settimo 193

E quel, che onesto è più, sempre io trascelgo.
Ed oh piacesse a Giove, a Palla, e a Febo,395
Che, qual ti scorgo, e d’un parer con meco,
Sposa volessi a te far la mia figlia,
Genero mio chiamarti, e la tua stanza
Fermar tra noi! Case otterresti, e beni
Da me, dove il restar non ti sgradisse:400
Chè ritenerti a forza, e l’ospitale
Giove oltraggiar, nullo qui fia che ardisca.
Però così su l’Alba il tuo viaggio
Noi disporrem, che abbandonarti al sonno
Nella nave potrai, mentre i Feaci405
L’azzurra calma romperan co’ remi:
Nè cesseran, che nella patria messo
T’abbiano, e ovunque ti verrà desio,
Foss’anco oltre l’Eubéa, cui più lontana
D’ogni altra regïon, che alzi dal mare,410
Dicon que’ nostri, che la vider, quando
A Tizio figlio della terra il biondo
Radamanto condussero. All’Eubéa
S’indrizzâr, l’afferrâr, ne ritornaro,
Tutto in un giorno; e non fu grave impresa.415
Conoscerai, quanto sien bene inteste
Le nostre navi, e i giovani gagliardi
Nel voltar sottosopra il mar co’ remi.