Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/287

Da Wikisource.
272 odissea

Piedi ne strinsi dell’enorme fera.
Al fin sul collo io la mi tolsi, e mossi,220
Su la lancia poggiandomi, al naviglio:
Chè mal potuto avrei sovra una sola
Spalla portar così sformata belva.
Presso la nave scaricaila; e ratto
Con soavi parole i miei compagni,225
A questo rivolgendomi, ed a quello,
Così tentai rianimare: Amici,
Prima del nostro dì d’Aide alle porte
Non calerem, benchè ci opprima il duolo.
Su, finchè cibo avemo, avem licore,230
Non mettiamli in obblio; nè all’importuna
Fame lasciamci consumar di dentro.
Quelli, ubbidendo alle mie voci, usciro
Delle latebre loro, e, in riva al mare,
Che frumento non genera, venuti,235
Stupian del cervo. Sì gran corpo egli era!
E come sazj del mirarlo furo,
Ne apparecchiaro non vulgar convito,
Sparse prima di chiara onda le palme.
Così tutto quel dì sino all’Occaso240
Di carne opima, e di fumoso vino
L’alma riconfortammo: il Sol caduto,
E comparse le tenebre, nel sonno