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282 odissea

Sovra un distinto d’argentini chiovi
Seggio a grand’arte fatto, e vago assai,470
Mi pose: lo sgabello i piè reggea.
E un’altra Ninfa da bel vaso d’oro
Purissim’acqua nel bacil d’argento
Mi versava, e stendeami un liscio desco,
Che di candido pane, e di serbate475
Dapi a fornir la dispensiera venne.
Cíbati, mi dicea la veneranda
Dispensiera, ed instava; ed io, d’ogni esca
Schivo, in altri pensieri, e tutti foschi,
Tenea la mente, pur sedendo, infissa.480
Circe, ratto che avvidesi, ch’io mesto
Non mi curava della mensa punto,
Con queste m’appressò voci sul labbro:
Perchè così, qual chi non ha favella,
Siedi, Ulisse, struggendoti, e vivanda485
Non tocchi, nè bevanda? In te sospetto
S’annida forse di novello inganno?
Dopo il mio giuramento a torto temi.
     Ed io: Circe, qual mai retto uomo e saggio
Vivanda toccheria prima, o bevanda,490
Che i suoi vedesse riscattati, e salvi?
Fa, che liberi io scorga i miei compagni,
Se vuoi, che della mensa io mi sovvegna.