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18 odissea

Taciti sedean questi, e nell’egregio
Vate conversi tenean gli occhi; e il vate
Quel difficil ritorno, che da Troja420
Pallade ai Greci destinò crucciata,
Della cetra d’argento al suon cantava.
Nelle superne vedovili stanze
Penelope, d’Icario la prudente
Figlia, raccolse il divin canto, e scese425
Per l’alte scale al basso, e non già sola:
Chè due seguianla vereconde ancelle.
Non fu de’ Proci nel cospetto giunta,
Che s’arrestò della Dedalea sala
L’ottima delle donne in su la porta,430
Lieve adombrando l’una e l’altra gota
Co’ bei veli del capo, e tra le ancelle
Al sublime cantor gli accenti volse.
Femio, diss’ella, e lagrimava, Femio,
Bocca divina, non hai tu nel petto435
Storie infinite ad ascoltar soavi,
Di mortali, e di Numi imprese altere,
Per cui toccan la cetra i sacri vati?
Narra di quelle, e taciturni i Prenci
Le colme tazze vôtino: ma cessa440
Canzon molesta, che mi spezza il cuore,
Sempre che tu la prendi in su le corde;