Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/423

Da Wikisource.
42 odissea

Fur parte, e parte presi, e ad opre dure
Sforzati; e, ovunque rivolgeansi gli occhi,320
Un disastro apparia. Ma il Saturníde
Nuovo consiglio m’inspirò nel core.
Deh perchè nell’Egitto anch’io non caddi,
Se nuovi guai m’apparecchiava il fato?
Io l’elmo dalla testa al suol deposi,325
Dagli omeri lo scudo, e gittai lunge
Da me la lancia: indi ai cavalli incontro
Corsi, e al cocchio del Re, strinsi, e baciai
Le sue ginocchia; ed ei serbommi in vita.
Compunto di pietà me, che piagnea,330
Levò nel cocchio, e al suo palagio addusse.
È ver, che gli altri m’assalian con l’aste
Di rabbia accesi, e mi voleano estinto.
Ma il Re lontani e con cenni, e con voci
Teneali per timor dell’ospitale335
Giove, che i supplicanti, a cui mercede
Dall’uom non s’usi, vendicar suol sempre.
Sett’anni io colà vissi, e assai tesori
Raccolsi: doni mi porgea chiunque.
Poi, volgendo l’ottavo anno, un Fenice340
Comparve, uom fraudolento, e di menzogne
Gran fabbro, che già molti avea tradito.
Nella Fenicia a seguitarlo, dove