Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/530

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libro decimottavo 149

Tra poco andrà su gli Epiroti lidi.
     Così parlaro; e dell’augurio Ulisse145
Godea nell’alma; e Antinoo un gran ventriglio
Di sangue, e di pinguedine ripieno
Gli recò innanzi. Ma il valente Anfinomo
Due presentògli dal canestro tolti
Candidissimi pani, e, propinando150
Con aurea tazza, Salve, disse, o padre,
Forestier, salve: se infelice or vivi,
Lieti scorranti almeno i dì futuri.
     Anfinomo, l’eroe scaltro rispose,
D’intendimento, e di ragion dotato155
Mi sembri, e in questo tu ritrai dal padre,
Da Niso Dulichiense, ond’io la fama
Sonare udia, buono del par, che ricco,
Da cui diconti nato; e fede ancora
Ne fa il tuo senno, e le parole, e gli atti.160
A te dunque io favello, e tu i miei detti
Ricevi, e serba in te. Sai tu di quanto
Spira, e passeggia su la terra, o serpe,
Ciò, che al Mondo havvi di più infermo? È l’uomo.
Finchè stato felice i Dei gli danno,165
E il suo ginocchio di vigor fiorisce,
Non crede, che venir debbagli sopra
L’infortunio giammai. Sopra gli viene?