Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/558

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libro decimonono 177

E fu per opra mia, che la cittade
Bianco pan, dolce vino, e buoi da mazza,245
I suoi compagni a rallegrar, gli diede.
Dodici dì nell’isola restaro,
Perchè levato da un avverso Nume
Imperversava un Aquilon sì fiero,
Che a stento si reggea l’uomo su i piedi.250
Quello il dì terzodecimo al fin cadde;
E solcavan gli Achei l’onde tranquille.
     Così fingea, menzogne molte al vero
Símili proferendo: ella, in udirle,
Pianto versava, e distruggeasi tutta.255
E come neve, che su gli alti monti
Sùbito vento d’Occidente sparse,
Sciogliesi d’Euro all’improvviso fiato,
Sì che gonfiati al mar corrono i fiumi:
Tal si stemprava in lagrime, piangendo260
L’uom suo diletto, che sedeale al fianco.
Della consorte lagrimosa Ulisse
Pietà nell’alma risentia: ma gli occhi
Stavangli, quasi corno, o ferro fosse,
Nelle palpebre immoti, e gli stagnava265
Nel petto ad arte il ritenuto pianto.
     Ella, poichè di lagrime fu sazia,
Così ripigliò i detti: Ospite, io voglio