Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/566

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libro decimonono 185

Te, che nol merti, odia il Saturnio padre.
Tanti non gli arse alcun floridi lombi,445
Tante ecatombe non gli offerse, come
Tu, di giunger pregandolo a tranquilla
Vecchiezza, e un prode allevar figlio, ed ecco
Che del ritorno il dì Giove ti spense.
O buon vegliardo, allor che a un alto albergo450
D’alcun signor lontano ei pellegrino
S’appresserà, l’insulteran le donne,
Qual te insultaro tutte queste serpi,
Da cui, l’onte schivandone, e gli oltraggi,
Venir tocco ricusi; ed a me quindi455
La figlia saggia del possente Icario
Tal ministero impon, che non mi grava.
Io dunque il compierò, sì per amore
Della Reina, e sì per tuo: chè forte
Commossa dentro il sen l’alma io mi sento.460
Ma tu ricevi un de’ miei detti ancora:
Fra molti grami forestier, che a questa
Magion s’avvicinaro, un sol, che Ulisse
Nella voce, ne’ piedi, in tutto il corpo,
Somigliasse cotanto, io mai nol vidi.465
     Vecchia, rispose lo scaltrito eroe,
Così chiunque ambo ci scorse, afferma:
Correr tra Ulisse, e me, qual tu ben dici,