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228 odissea

     Detto così, l’arco ei depose a terra,
E all’incollate tavole polite170
L’appoggiò della porta, e posò il dardo
Sul cerchio, che dell’arco il sommo ornava.
Poi s’assise di nuovo. E Antinoo, il figlio
D’Eupite, favellò: Tutti, o compagni,
Dalla destra per ordine v’alzate,175
Cominciando ciascun, donde il vermiglio
Licor si versa. Il detto piacque, e primo
L’Enopide Leode alzossi, ch’era
Loro indovino, e alla bell’urna sempre
Sedea più presso. Odio alla colpa ei solo180
Portava, e gli altri riprendea. Costui
L’arco lunato, ed il pennuto strale
Si recò in mano, e alla soglia ito, e fermo
Su i piedi, tentò il grave arco, e nol tese:
Chè sentì intorno alla ribelle corda185
Prima stancarsi la man liscia e molle.
Altri, disse, sel prenda; io certo, amici,
Nol tenderò: ma credo ben, che a molti
Sarà morte quest’arco. È ver, che meglio
Torna il morire, che il giù torsi vivi190
Da quella speme altissima, che in queste
Mura raccolti sino a qui ci tenne.
Spera oggi alcun, non che in suo core il brami,