Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/628

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libro vigesimosecondo 247

Ma torvo riguardolli, e in questa guisa
Favellò Ulisse: Credevate, o cani,45
Che d’Ilio io più non ritornassi, e intanto
La casa disertar, stuprar le ancelle,
E la consorte mia, me vivo, ambire
Costumavate, non temendo punto
Nè degli Dei la grave ira, nè il biasmo50
Permanente degli uomini. Ma venne
La fatal per voi tutti ultima sera.
     Tutti inverdiro del timore, e gli occhi,
Uno scampo a cercar, volsero intorno.
Solo, e in tal forma, Eurimaco rispose:55
Quando il vero tu sii d’Itaca Ulisse
Fra noi rinato, di molt’opre ingiuste,
Che sì nel tuo palagio, e sì ne’ campi
Commesse furo, ti quereli a dritto.
Ma costui, che di tutto era cagione,60
Eccolo in terra, Antinoo. Ei dell’ingiuste
Opre fu l’autor primo: e non già tanto
Pel desiderio delle altere nozze,
Quanto per quel del regno, a cui tendea,
Insidïando il tuo figliuolo: occulte65
Macchine, che il Saturnio in man gli ruppe.
Poichè morto egli giace, alla tua gente
Perdona tu. Pubblica emenda farti