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L'AJA. 151

sepio; miniature di giardini, puliti, lisciati, leccati. Alcune case son poste sull’orlo del canale, col piede nell'acqua; e lascian vedere i fiori, i vasi e i mille ninnoli luccicanti dell’interno delle stanze. Quasi tutte hanno un’iscrizione sulla porta, che è come l’aforismo della felicità domestica, la formula della filosofia del padrone, come: — La pace è denaro. — Piacere e riposo. — Amicizia e società. — I miei desiderii sono soddisfatti. — Senza fastidi. — Tranquillo e contento. — Qui si godono i piaceri dell’orticultura. — Qua e là c’era qualche bella vacca bianca e nera, accovacciata sulla sponda, col muso a fior d’acqua, che sollevava placidamente la testa verso la barca. Incontravamo degli stormi d’anitre che si scansavano per lasciarci passare. C'erano di tratto in tratto a destra e a sinistra dei canaletti quasi coperti da due alte siepi che consertavano i rami formando una vòlta di verzura, sotto la quale si vedevano allontanarsi e sparire nell’oscurità delle barchette di contadini. Di tempo in tempo, in mezzo a tutto quel verde, saltava fuori all’improvviso un gruppo di case, un villaggetto variopinto e lindo, coi suoi specchietti e i suoi tulipani alle finestre; senza un’anima viva; e quel silenzio profondo era rotto da un’arietta allegra d’un campanile che non si vedeva. Era un paradiso pastorale, un paesaggio da idillio, pieno di freschezza e di mistero; un’arcadia chinese, tutta piccoli nascondigli, piccole sorprese, piccoli artifizi innocenti di bellezza, che facevan l’effetto come di tante voci som-