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L'AJA. 207

mattonate, e le sue finestre ornate di tendine e di fiori, saliamo in una carrozza e via. Appena usciti, ci coglie una pioggia minuta e diacciata che ci penetra fino alle ossa. Imbacuccati nelle coperte, intirizziti, fradici, arriviamo sulla sponda d’un grande canale, un uomo esce da un casotto, fa salire la carrozza sopra una zattera e ci porta sani e salvi all’altra sponda. La carrozza scende per una larga strada, ci troviamo nel fondo dell’antico mare d’Haarlem, il cavallo corre dove una volta guizzavano i pesci, il cocchiere fuma dove spiravano i naufraghi delle battaglie navali; vediamo di sfuggita canali, villaggi, campi coltivati, un nuovo mondo di cui trent’anni fa non c’era traccia. Dopo un miglio di strada, cessa la pioggia, e comincia a nevicare con una furia non mai veduta; una vera tempesta di neve fitta e dura, che il vento impetuoso ci getta quasi orizzontalmente nel viso. Spieghiamo la tela incerata, apriamo gli ombrelli, ci tappiamo, ci raggomitoliamo; ma il vento butta all’aria tutte le nostre difese e la neve irrompe, c’imbianca e ci agghiaccia dai piedi alla testa. Dopo un lungo giro usciamo dal lago, la neve cessa, arriviamo a un altro villaggio fatto di case da presepio, lasciamo la carrozza, ripigliamo la strada a piedi. Si va, si va, si vedon ponti, mulini, casette chiuse, strade solitarie, praterie immense, e nessuno. Si passa sur un braccio del Reno, si arriva a un altro villaggio tutto sbarrato e silenzioso, si va innanzi non vedendo che qualche viso che ci guarda di dietro i vetri dei finestrini, si