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210 L'AJA.

della parete; e questi armeggíi non mi piacevano. “Mi rassicuri” gli dicevo; “mi dica che questa casa esiste davvero; mi prometta di non far lo scherzo di farla sparire, non lasciando più che un buco nella terra e un puzzo di zolfo nell’aria! Mi giuri che dice le sue orazioni tutte le sere!” Non posso ridire le risa, l’allegrezza, i discorsi stravaganti che si succedettero fino a notte avanzata accompagnati dal tintinnìo dei bicchieri e dal fragore della tempesta. Infine giunse il momento di partire, scendemmo, e ci cacciammo in un carrozzone che si slanciò a traverso il deserto. La terra era tutta coperta di neve, le dune disegnavano i loro contorni bianchi sul cielo tenebroso, la carrozza scorreva senza far rumore in mezzo a mille forme strane e indistinte, che si succedevano rapidamente al chiarore della lanterna, e pareva che si trasformassero l’una nell'altra; e in quell'ampia solitudine regnava un silenzio morto, che impediva la parola. Dopo molto andare, si cominciò a vedere qualche casa; s’arrivò a un villaggio; s’attraversarono due o tre strade deserte, fiancheggiate da casette coperte di neve, con qualche rara finestra illuminata, che lasciava vedere delle ombre umane; e finalmente s’arrivò a una stazione della strada ferrata, di dove arrivammo in pochi minuti all’Aja, coll’illusione di aver fatto un lunghissimo viaggio a traverso un paese favoloso. L’ho da dire? Se mi chiedessero di giurare che quella casa in mezzo alle dune, ora che scrivo, c’è ancora, domanderei dieci minuti per