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246 LEIDA.

Leida, l’antica Atene del Nord, la Saragozza dei Paesi Bassi, la più vecchia e più gloriosa figliuola dell’Olanda, è una di quelle città in cui, appena entrati, si diventa pensierosi; e non si possono rammentare, anche molto tempo dopo esserci stati, senza ripensarci lungamente; e non ci si può pensare senza tristezza.

Appena entrati, si sente il freddo della città morta. Il vecchio Reno, che l’attraversa dividendola in molte isole congiunte da centocinquanta ponti di pietra, forma dei grandi canali e dei bacini che coprono intere piazze, dove non si vede né un bastimento né una barca, così che la città sembra piuttosto che percorsa, allagata dalle acque. Le principali strade sono larghissime e fiancheggiate da case vecchie e nere, colle solite facciate a punta e a scalini; e in quelle grandi strade, nelle piazze, nei crocicchi, non si vede nessuno o poca gente sparpagliata sur un vasto spazio, come i superstiti d’una città spopolata dalla moría. Nelle piccole strade si cammina per lunghi tratti sull’erba, in mezzo a porte e finestre chiuse, in un silenzio profondo come nelle città delle favole, dove tutti gli abitanti sono immersi in un sonno soprannaturale. Si passa sopra ponti erbosi, lungo canaletti coperti d’un tappeto verde, per piazzette che paiono cortili di convento; e poi, a un tratto, si riesce all’aperto, in una strada larga come un viale di Parigi; e da questa daccapo nel