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254 LEIDA.

avanzano; si volge contrario un’altra volta, e daccapo la flotta s’arresta. Mentre questo succede, nella città cominciano a mancare anche gli animali schifosi di cui i cittadini sono costretti a cibarsi; la gente si butta in terra a leccare il sangue dei cavalli uccisi; le donne e i fanciulli frugano nelle immondizie della strada; scoppia l’epidemia; le case si riempiono di cadaveri; più di seimila cittadini son morti; ogni speranza di salvamento è perduta. Una turba di affamati corre dal borgomastro Van der Werff e gli domanda la resa con grida strazianti. Il Van der Werff rifiuta. La plebe lo minaccia. Allora egli fa cenno col cappello che vuol parlare, e in mezzo al silenzio generale, grida: — Cittadini! Ho giurato di difendere la città fino alla morte, e coll’aiuto di Dio manterrò il mio giuramento. È meglio morir di fame che morir di vergogna. Le vostre minaccie non mi atterriscono. Io non posso morire che una volta. Uccidetemi, se volete, e saziate la vostra fame colle mie carni; ma fin che vivo non mi chiedete la resa di Leida! — La folla, commossa da queste parole, si disperde in silenzio, rassegnata a morire; e la città continua a difendersi. Finalmente, nella notte del primo ottobre, si scatena un violentissimo vento equinoziale; il mare si solleva, soverchia le dighe rovinate e invade furiosamente la terraferma. A mezzanotte, nel forte della tempesta, in mezzo a un’oscurità profonda, la flotta olandese si muove. Alcuni vascelli spagnuoli le vanno incontro. Scoppia un’orribile