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LEIDA. 265

l’Europa.Le dighe che proteggono l’imboccatura del canale, i muri, i pilastri, le porte, presentano tutti insieme l’aspetto d’una fortezza ciclopica contro la quale pare che non solo quel mare, ma le forze riunite di tutti i mari dovrebbero spezzarsi come contro una montagna di granito. Quando monta la marea, si chiudono le porte per impedire che il mare invada la terra; quando la marea cala, si riaprono per dar sfogo alle acque del Reno che vi si sono accumulate; e allora passa per le porte una massa di tremila metri cubi d’acqua in un minuto secondo. I giorni di grande tempesta, si fa una concessione al mare, lasciando aperte le porte della cateratta più avanzata; e allora le onde furiose si precipitano nel canale, come un esercito nemico per una breccia; ma vanno a spezzarsi contro le porte formidabili della seconda cateratta, dietro le quali l’Olanda grida loro: — Voi non andrete più oltre! — Quella fortezza enorme che sopra una spiaggia deserta difende dall’Oceano un fiume morente e una città decaduta, ha qualche cosa di solenne, che comanda l’ammirazione e il rispetto.

Rivedo Leida, quale la vidi la sera che tornai dall’escursione, buia e muta come una città abbandonata, e le dò un addio riverente coll’animo già rallegrato dell’immagine della vicina Haarlem, la città dei paesisti e dei fiori.

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