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298 AMSTERDAM.

credere d’essere capitati nella valle di Giosafat o ai piedi della torre di Babele.

Dalla piazza del Dam si arriva in pochi minuti al porto, che offre anch’esso uno spettacolo grandioso e strano oltre ogni dire. A primo aspetto, non ci si capisce nulla. Si vedono da ogni parte dighe, ponti, cateratte, palizzate, bacini, che presentano l’immagine d’un’immensa fortezza costrutta così astutamente, perchè nessuno riesca a raccapezzarne la forma; e non ci si riesce infatti che per mezzo della carta e dopo una passeggiata di parecchie ore. Dal mezzo della città, alla distanza di mille metri l’una dall’altra, partono in direzione opposta due gran dighe arcate che abbracciano e difendono dal mare le due estremità di Amsterdam sporgenti oltre il semicircolo delle sue case come le punte d’una mezza luna. Queste due dighe che hanno ciascuna una gran porta munita d’una cateratta gigantesca, racchiudono due bacini capaci di mille bastimenti d’alto bordo e parecchie isolette sulle quali son magazzini, arsenali, opificii, dove lavorano migliaia d’operai. Fra le due grandi dighe s’avanzano parecchie dighe minori, formate di robuste palizzate, che servono di stazione d’imbarco per i battelli a vapore. In tutte queste dighe s’innalzano case, tettoie, baracche, fra le quali formicola una folla di marinai, di passeggieri, di facchini, di donne, di ragazzi, di carrozze, di carri, chiamati là dalle partenze e dagli arrivi che si succedono rapidamente