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320 AMSTERDAM.

sindaci, serve, pescatori, beoni, tori, pecore, tulipani, mulini a vento, mari lividi ed orizzonti nebbiosi, rimanetemi per lungo tempo dinanzi agli occhi, e quando non sarete più nella mia mente che una reminiscenza confusa, mi resti la virtù di lavorare, di viver con giudizio e di far economia, da bravo olandese, per tornarvi a rivedere, se Dio lo consente!

Napoleone il Grande, in Amsterdam, s’annoiò; ma credo fermamente che sia stata colpa sua: io mi ci son divertito. Tutti quei canali, quei ponti, quei bacini, quelle isolette, formano una così grande varietà di prospetti pittoreschi, che per quanto si giri, non s’è mai finito di vedere. Vi son mille maniere di passare il tempo piacevolmente. Si va a veder l’arrivo dei battelli che portano il latte da Utrecht; si seguono i barconi che trasportano le masserizie per le sgomberature, con le fantesche dalla cuffia bianca ritte sulla poppa; si passa una mezz’ora sulla torricina del palazzo reale, di dove si abbraccia con uno sguardo il golfo dell’Y, l’antico lago d’Haarlem, le torri d’Utrecht, i tetti rossi di Zaandam, e quella fantastica foresta d’alberi di bastimento, di campanili e di mulini; si assiste all’estrazione del limo dei canali, alle accomodature dei ponti e delle cateratte, alle mille cure che richiede continuamente questa città singolare, costretta a spendere quattrocentomila fiorini all’anno per governare le sue acque; e quando non c’è altro, non manca mai lo spettacolo delle serve e dei servitori che con