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frisia. 419

Grandi canali pieni di bastimenti, larghe strade fiancheggiate da piccole case variopinte e nitide, pochissima gente fuor di casa, un silenzio profondo e non so qual aria di pace malinconica che fa pensare a mille cose lontane: tale è Harlingen, città di poco più di diecimila abitanti, fondata presso il luogo dov’era anticamente un villaggio che il mare distrusse nell’anno 1134. Fatto un giro per le strade, il mio compagno mi condusse a vedere le dighe, senza le quali la città sarebbe già stata cento volte sommersa, poichè tutto quel tratto di costa è esposto più d’ogni altro alle correnti e alle onde dell’alto mare. Le dighe sono formate da due file di palafitte smisurate, congiunte le une alle altre da grossi tronchi traversali, e tutte rivestite di grandi chiodi colla testa schiacciata, i quali le preservano dai piccoli animali marini che distruggono il legno. Fra queste palafitte ci sono delle assi fortissime, o piuttosto delle grandi travi segate in due, sprofondate nella sabbia, le une accanto alle altre; dietro queste assi una muraglia di massi ciclopici di granito rosso portati dalla provincia della Drenta; e dietro questa muraglia, ancora un robustissimo stecconato, che basterebbe da solo a trattenere le acque di un torrente furioso. Sopra questa diga si stende un viale alberato che serve di passeggio pubblico, di dove si vede il mare, qualche casa della città, e qualche albero di bastimento che sporge oltre i tetti. Quando vi passammo, l’orizzonte era ancora leggermente dorato da ponente e oscurissimo dalla parte