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FRISIA. 421

mi rispondeva pacatamente che i provocatori eravamo stati noi, perchè fino a tanto che ci eravamo contentati di prelevare il tributo imposto da Druso, consistente in cuoi pur che fossero, essi non avevano rifiatato; e che se poi s’erano ribellati, l’avevan fatto perchè Olennio non si contentava più dei cuoi, e voleva i bovi, i campi, i ragazzi, le donne; e questo era un volerli assassinare. “Pacem exuere, dice lo stesso Tacito, nostra magis avaritia quam obsequii impatientes; e aggiunge che Druso ci aveva imposto un piccolo tributo, perchè eravamo poveri, pro angustia rerum. E se ai poveri rubavate i buoi e le terre, che cosa facevate ai ricchi?” — Quando m’accorsi che sapeva Tacito a memoria, battei in ritirata, e gli domandai amichevolmente se delle prepotenze dei miei padri egli serbava qualche rancore con me. — “Oh signore!” — rispose tendendomi una mano, come se gli avessi fatto quella domanda sul serio: “nemmeno per ombra!” — O sbaglio, — dissi tra me, — o di questa ingenuità nei nostri paesi non ce n’è più la semenza. — E non potevo finir di guardarlo, tanto mi pareva d’uno stampo differente dal mio.

Stemmo insieme fino a notte, e m’accompagnò alla stazione della strada ferrata, per andar poi ad assistere ad un concerto musicale. In quella piccola città di marinai, di pescatori e di mercanti di burro, c’era un concerto dato da quattro artisti, due tedeschi e due italiani, fatti venire espressamente dall’Aja, per sonare un par d’ore, al prezzo di duecento-