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FRISIA. 435

Prima che se n’andasse, le dissi, per ringraziarla con un complimento, che era una delle più belle guerriere della Frisia, e pregai la signora di tradurle quelle parole. Le ascoltò col viso serio e diventò rossa fino ai capelli; poi, come se ci avesse pensato meglio, sorrise leggerissimamente, e fatto un mezzo inchino uscì dalla stanza, ritta, lenta e maestosa come una regina di tragedia.

Grazie alla cortesia dei miei ospiti, vidi un piccolo Museo d’antichità nazionali della Frisia, formato da pochi anni, e già ricco di moltissimi oggetti preziosi. Profano come sono a questi studi, non feci che sogguardare le medaglie e le monete, e mi trattenni particolarmente dinanzi agli antichi zoccoli dei patinatori, ai rozzi diademi da cui derivarono i caschi, e a certe strane pipe trovate nella terra a una grande profondità, le quali paiono anteriori all’uso del tabacco, e si crede servissero a fumare la canapa. Ma il più curioso oggetto del Museo è un cappello da donna, ch’era in uso sulla fine del secolo scorso, un cappello così spropositato e così ridicolo, che se l’antiquario che me lo mostrò, non m’avesse assicurato d’averne visto ancor uno, coi suoi occhi, sul capo d’una vecchia signora di Leuwarde, non sono molti anni, in occasione di una festa per l’arrivo del re d’Olanda, avrei creduto impossibile che delle creature ragionevoli si fossero mai incappellate in quella maniera. Non è un cappello, è una tenda, un baldacchino, una tettoia, sotto la quale si potrebbe riparare dalla piog-