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88 poesie

     Fendendo l’onda tragittarne un solo;
     65Un sol, benchè per certo
     Di cento più famosi adegua il merto.
Epodo.
Agata sacra, che d’un empio orgoglio
     Altamente soffrendo alzò trofei;
     Che sprezzò ferri, che d’incendi rei,
     70Martír sostenne, e non mostrò cordoglio;
     Salda, siccome scoglio,
     Alle lusinghe rifiutò sdegnosa
     Ogni promessa di mondan diletto;
     Ma fra tanaglie rimirò giojosa
     75Delle mammelle vedovarsi il petto.
Strofe.
Non fu ciò sua promessa
     Serbare al gran consorte,
     E per l’orme di lui correr veloce?
     Non fu sprezzar sè stessa,
     80E ben costante e forte
     Porre in sul tergo, e via portar sua croce?
     Ah! che non può negarsi
     Splendere il Sol, quando i bei raggi ha sparsi.
Antistrofe.
E pur su verde aprile
     85Ridea sua fresca etate,
     A ragion desïabil primavera;
     E di sangue gentile.
     E d’inclita beltate,
     E di ricchezza sorvolava altera:
     90Tutto è ver; non per tanto
     Amò morire, e tormentar cotanto.
Epodo.
Ma quella morte a’ grandi onor contesi
     Dell’oppugnata fè crebbe chiarezza,
     E fe’ repente germogliar fortezza
     95Entro gli spirti di temenza offesi.
     Felici Catanesi,
     Che la terra per patria in sorte avete,
     Ov’ella si fasciò nel mortal velo;
     Alto la fronte, o gloriosi, ergete,
     100Il Sole infra voi nacque, e non in Delo.
Strofe.
Or chi vïola, e rosa,
     Primiero onor de’ prati,
     Chi miete gigli, e glie ne fa ghirlande?
     Chi mirra prezïosa,
     105Chi balsami odorati,
     Chi d’incenso profumi oggi le spande?
     E chi di luce viva
     Splendor le nudre con licor d’oliva?
Antistrofe.
Io bel Cedro, che nacque
     110Di Libano sul monte,
     Col pronto studio renderò canoro;
     E se del Gange all’acque
     Il Sol mostra la fronte,
     O se mostra all’Ibero i suoi crin d’oro,
     115Udrà per lei mie voci
     Divenir inni e trasvolar veloci.
Epodo.
Colpa mortal, cui negherà perdono
     Anima saggia, celebrarsi dive
     Pallade e Giuno dalle Muse Argive,
     120E de’ suoi nomi tanto alzarsi il suono;
     Noi porre in abbandono
     Vergini pure, che nel regno eterno
     Son dell’eccelso Dio spose veraci.
     Arno, miei detti non pigliare a scherno:
     125Di nobil canto abbi vaghezza, o taci.

XVIII

PER S. FRANCESCO

Oro, dolce diletto
     Del guardo, che ti mira,
     Esca soave degli umani cori,
     A te gemendo ogni mortal sospira,
     5E te tracciando non perdona al petto
     I più forti sudori,
     Chè pensando agli onori
     De’ tuoi lugidi rai,
     Dispera uman pensiero
     10Gioja di bene intero,
     Ove tu non la dai.
Per te spiega le vele,
     E con la prora fende
     Nocchier i campi di Nettun frementi:
     15Vago di te nelle battaglie orrende
     Segue forte guerrier Marte crudele
     Fra’ più duri tormenti:
     Pasce vellosi armenti,
     Olmi nutrica, e viti,
     20Miete le spiche, ed ara
     La turba montanara,
     Perchè ciò far l’inviti.
Oro, dei cor mortali
     Fortissimo tiranno,
     25Arcier possente di saette acute,
     I colpi tuoi per ogni parte vanno;
     Ma pur, che puoi, se su nel ciel non sali
     Ove è nostra salute?
     Oh umana virtute
     30Debile in corso e tarda,
     Ch’ergi d’orror le chiome
     Di povertade al nome;
     Guarda il Calvario, guarda.
Su quel giogo romito
     35Altro tesor non scerno,
     Che nudo tronco, ove il gran Dio s’appese;
     E dietro l’orme del Signor eterno,
     Colà salendo peregrin spedito,
     Ciò ben Francesco intese:
     40Pianta, che al cielo ascese
     Coll’umil sue radici:
     Vaso eletto d’odore,
     Vivo vampo d’amore,
     Maestro de’ mendici.
45Mentre più ferve il mondo
     In seguitar la strada,
     Che ria trascorre d’avarizia i campi,
     Vien Francesco dal ciel quasi rugiada,
     E sparse sopra lui nembo giocondo,
     50Perchè via meno avvampi.
     Ei non dell’ostro i lampi,
     Non le conche di Gange,
     Ma scelse ombre gelate,
     Ove forza d’estate
     55I cupi orror non frange.
Ma se belva in deserto
     Casca ove vien trafitta;
     Francesco umíle in duri boschi alpini