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del chiabrera 121

     A freschi zefiri
     La chioma d’ôr.
Era usa tendere
     35Bell’arco, e correre
     Or sul Partenio,
     Ed or sul Menalo
     Ivi trafiggere
     A’ cervi il cor.
40Un giorno videla,
     E subito arsene
     Giove vedendola;
     Ne solo videla,
     Ma lieto colsene
     45Frutti d’amor.
Al fine avvinsela
     Di spoglie ruvide:
     Misera Vergine!
     Sue membra nobili
     50Belva divennero:
     Ah gran dolor!
Bella Melpomene,
     Deh dimmi, Semele
     Non venne cenere?
     55Certo distrussela
     Fra lampi e fulmini
     L’alto amator.
Taccio di Clizia,
     Trapasso Isifile:
     60Metto in silenzio
     Procri di Cefalo:
     O cara Nisida,
     Non hai timor?
Tante miserie
     65Di tante femmine,
     Che al mondo amarono,
     Non ti sgomentano?
     Ah non ti perdere
     In tanto error!
70Ma veggio, Nisida,
     Che tu riguardimi
     Volta a sorridere;
     Ed io già veggoti
     Dolente piangere
     75In grave ardor.

XXXV

Che la beltà presto finisce.

La Vïoletta,
     Che in sull’erbetta
     S’apre al mattin novella,
     Di’; non è cosa
     5Tutta odorosa,
     Tutta leggiadra e bella?
Sì certamente,
     Che dolcemente
     Ella ne spira odori;
     10E n’empie il petto
     Di bel diletto
     Col bel de’ suoi colori.
Vaga rosseggia,
     Vaga biancheggia
     15Tra l’aure mattutine;
     Pregio d’Aprile
     Via più gentile;
     Ma che diviene al fine?
Ahi, che in brev’ora,
     20Come l’Aurora
     Lunge da noi sen vola,
     Ecco languire,
     Ecco perire
     La misera Vïola.
25Tu, cui bellezza,
     E giovinezza
     Oggi fan sì superba;
     Soave pena,
     Dolce catena
     30Di mia prigione acerba:
Deh con quel fiore
     Consiglia il core
     Sulla sua fresca etate;
     Che tanto dura
     35L’alta ventura
     Di questa tua beltate.

XXXVI

Si schernisce da Amore colla Lira.

Quando vuol sentir mia voce
     Amor l’arco in mano ei piglia
     E ne va sotto le ciglia
     D’Amarillide feroce,
     5Ivi tacito m’aspetta,
     E d’un guardo mi saetta.
Non sì tosto ei mi percote,
     Che un altr’arco in mano io piglio,
     E con Febo mi consiglio
     10Di trovar più care note,
     Per ferir la Giovinetta
     D’una dolce canzonetta.
Nè virtù di nobil erba,
     Nè saper d’antica maga,
     15Se bellezza un core impiaga,
     Le ferite disacerba;
     Sol conforto allor si spera
     Dalla Lira lusinghiera.

XXXVII

Non vuole più amare la sua Diva.

Invan lusinghimi,
     Invan minaccimi,
     Figlio di Venere;
     Quel giogo impostomi
     5Dolce, o spiacevole,
     lo più nol vo’.
Mostro del Tartaro,
     Mostro dell’Erebo,
     Cui di ree vipere
     10Nudri Tesifone,
     Quel giogo impostomi
     Nol vo’ più, no.
Oggi mai liberi
     Vo’, che si veggano
     15I piè trascorrere;
     L’orme ingratissime