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del chiabrera 153

XXIII

LODA IL MEDESIMO.

Cosmo, a cui stanca, e d’aspri affanni oppressa
     La Patria corse, e con la man paterna
     Forte l’ergesti, e di beltà superna
     4Lasciasti in lei fulgida forma impressa,
Or che del figlio al gran valor commessa
     Indi la scerni, ove il gioir s’eterna,
     Quanto godi in mirar, che alto governa
     8Lo scettro, e i regni fortunar non cessa?
Tu calchi il Polo, e d’Orïon tu sorgi
     Oltre le fiamme, e nel maggior sereno
     11Tra magnanimi Eroi ti assidi in alto.
Nè però reggia in sulla terra scorgi,
     Che d’alma pace più s’illustri, o meno
     14Paventi ingiusto di rio Marte assalto.

XXIV

DELLA STATUA POSTA

DA FERDINANDO A COSMO SUO PADRE.

Il gran destriero al Piroo sembiante,
     Di novello Piracmo alto lavoro,
     Mover non sa dalle prime orme loro
     4Sulla base superba unqua le piante;
Ma non che corridor, farlo volante
     Vuole oggi Euterpe dalla cetra d’oro;
     E per la Scizia e per l’Imperio Moro,
     8E degl’Indi spronarlo al mar spumante:
Quinci il gran Duce, ch’ei sostien sul dorso,
     Di stupor non usato andrà colmando
     11Ad ora ad or per l’universo i cori,
E crescerà nel celebrato corso
     L’onorata pietà, gran Ferdinando,
     14Onde sì pronto il Genitore onori.

XXV

PER LA MEDESIMA STATUA.

Ben l’alta mole di sì gran destriero
     Stancar potea l’infaticabil mano
     De’ fier Ciclopi, e ben potea Vulcano
     4Porre a tant’opra l’immortal pensiero.
Non così per la Grecia il piè leggiero
     Cillaro alzò sotto l’eroe Spartano;
     Nè così Xanto per lo suol Trojano
     8Raggirò sotto Achille il guardo altero.
Porían rinnovellar l’antica usanza
     Le Muse eterne; e di bei rai coperto
     11Sacrarlo nella piaggia alma e serena.
E d’ogni meraviglia il pregio avanza;
     Ma lungo spazio è disuguale al merto
     14Del gran Signor, che in lui sedendo, il frena,

XXVI

SOPRA LE GALERE

DEL GRAN DUCA FERDINANDO.

Qual sulla forza delle regie piume
     Aquila ascende agli splendor stellati,
     Tal del gran Ferdinando i pin spalmati
     4Arano il mar tra le volubil spume:
Fisa ogni Dea per meraviglia il lume,
     Togliendo il piè di latte a’ balli usati,
     E gli algosi Triton cessano i fiati,
8Onde le conche han di gonfiar costume;
Ma qual più brama del predare il vanto
     Gelido fugge alle più chiuse arene;
     11Nè fra tanti ad ognora in fuga volti
Uno è, che sappia rifuggirne: in tanto
     Hanno i Templi d’Italia aspre catene,
     14Che appendono ivi i prigionier disciolti.

XXVII

PER LA CITTÀ DI LIVORNO

DAL GRAN DUCA FERDINANDO

EDIFICATA

Dispersi scogli a rilegar le sarte,
     È di nudi nocchier picciol soggiorno
     Dianzi era qui, dove cotanto adorno
     4Con marmi illustri vigilando ha l’arte:
Selvaggi sterpi, e livid’acque sparte
     Le strade fûr, che alle maggior fan scorno,
     Ed alga il muro, che le chiude intorno,
     8Saldo contrasto al fulminàr di Marte.
Narra, o stranier, che dài le vele ai venti,
     Che ampia città, vago d’eccelsa fama,
     11A fondar volse Ferdinando il core:
Soggiungi poi, come cortese ei chiama
     A porvi albergo peregrine genti,
     14Per loro ivi bear col suo valore.

XXVIII

DELLA VILLA FERDINANDA SOPRA ARTEMINO.

Sull’alta fronte d’Artemin selvosa,
     A boscarecce Ninfe ermo ricetto,
     Sotto bell’ombre di Dedaleo tetto,
     4Ove alberga mai sempre aura giojosa,
Suol Ferdinando alla stagion focosa,
     Dolce posando, procurar diletto
     A’ membri stanchi; ma nel regio petto
     8Il magnanimo spirto unqua non posa;
Che qual dall’Ida di Saturno il figlio
     Scorse gli Eroi nella Dardania guerra,
     11Per varie guise travagliar l’ingegno:
Tale il mio Re con immortal consiglio
     Quinci contempla i più possenti in terra,
     14Or d’amore infiammarsi, or di disdegno.