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del chiabrera 155

XXXV

PEL LO MEDESIMO SOGGETTO.

O che sotto l’Aurora a’ gioghi alteri
     Destini incatenar gl’Indi remoti,
     O domar sotto Borea i regni ignoti,
     4Cui non appressa Febo unqua i destrieri,
Ben puoi Monarca de’ famosi Iberi,
     Che il Mondo acqueti pur col cenno, e scuoti.
     Ben puoi, nel rimirar gli alti Nipoti,
     8Giunger certa speranza a i gran pensieri;
Che mentre all’Universo in riva al Beti
     Leggi prescrivi, e ciò che Astrea n’impone,
     11Con esempio celeste, in sen riserbi;
Essi del tuo voler gli almi decreti,
     Con fulgid’asta su dorato arcione,
     14Faran pronti inchinar da’ più superbi.

XXXVI

A CARLO EMMANUELE

DUCA DI SAVOJA

Quando quietossi co’ Genevrini.

Se lenta il mostro, che di spuma inferna
     Gebenna attosca, la tua destra ancide,
     Sicchè egli or langue taciturno, or stride,
     4E gli spaventi, e le speranze alterna,
Meraviglia non sia, gli antri di Lerna
     Con vario assalto soggiogava Alcide,
     E con non breve lutta Africa il vide
     8Vincer dell’aspro Anteo l’arte materna:
Ben se pronto movesse a farne strazio,
     Di non tarda vittoria il tuo cor vago,
     11La primier’Alba il mirerebbe spento:
Or pace non gli dai, ma gli dai spazio,
     Che a’ tuoi scettri s’inchini, o che presago
     14Del suo certo perir cresca il tormento.

XXVII

PER LO PARCO ORDINATO

DA CARLO EMMANUELE

DUCA DI SAVOJA.

Poichè a nemico piè l’Alpi nevose
     Chiuse Carlo, d’Italia almo riparo,
     E non mai stanco in faticoso acciaro,
     4Con magnanimo cor l’armi depose,
A diporto di lui, foreste ombrose
     Vaghe Napee lungo la Dora alzaro,
     Ove s’Eto, e Piroo l’aure infiammaro,
     8April rinverda le campagne erbose.
Fama per queste nuove a scherno prende
     L’antiche Tempe, e del famoso Atlante
     11L’alme ricchezze il Peregrin qui scorge,
Ma svegliato dragon non le difende;
     Anzi cortese allo straniero errante,
     14Con larga destra il grande Eroe le porge.

XXXVIII

PER LO MEDESIMO SOGGETTO.

Drïadi ombrose, alla cui nobil cura
     L’orror commise della selva amica
     Carlo, tra le cui piante alla fatica
     4De’ più gravi pensier talor si fura:
Euro invitate a contemplar l’arsura
     Coll’aure, che nel grembo ei si nutrica;
     Ed Austro allor, che la campagna aprica
     8Borea col gel de’ freddi spirti indura:
Ma perchè rio furor d’alta tempesta
     Tronco non svella, o di saetta accesa
     11Non sia rimbombo a minacciarla ardito;
Basta Carlo scolpir per la foresta,
     Ch’ella fia d’ogni oltraggio indi difesa:
     14Tanto è l’eccelso nome in ciel gradito.

XXXIX

PER LO MEDESIMO SOGGETTO.

Se dentro l’ombra delle regie fronde,
     Che per l’industre man folta si stende,
     Pari a quella giammai belva discende,
     4Che d’Erimanto sbigottì le sponde:
O pur, se a quella, che le selve e l’onde,
     Col nome ancor, di Calidonia offende,
     Altra sembiante dure terga orrende
     8Vi porta, o zanne di gran spuma immonde,
Destre, di cui miglior Grecia non vide,
     Sollecite a placar l’ombroso chiostro,
     11Ameranno archi sanguinosi e rei:
E quasi Meleagro, e quasi Alcide,
     Carlo il gran teschio appenderà del mostro,
     14Che sa di più gran spoglie alzar trofei.

XL

LODA CARLO EMMANUELE

DUCA DI SAVOJA.

Del magnanimo Carlo i primier anni
     Crescea tra i vezzi di real dolcezza
     Materno amor; quando a’ guerrieri affanni
     4Scelselo Marte, e gli spirò fortezza
In guisa tal, che dove Borea i vanni
     Torpido spiega, e le foreste spezza,
     E, dove il Mondo a grave ardor condanni
     8Febo dall’alto, non domollo asprezza
Di ria stagion sotto ferrato usbergo;
     Ma su Durenza dagli Altar rispinse
     11Con intrepida man fuochi fumanti;
E Gebenna infestò, degli empi albergo;
     E sull’Alpi d’Italia il varco vinse:
     14Materia eccelsa d’Ippocrene a i canti.