Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/209

Da Wikisource.
196 poesie

Un’immagine d’uomo, ed indi ascese
15Negli alti Regni, e del celeste lume
Portò quaggiuso una facella accesa.
Con quel celeste fuoco egli diè vita
Alla figura d’impastato limo,
E l’Uomo diventò Signor del mondo.
20Ora mi volgo a te, come a fanciullo,
E spongo il senso de’ Febei secreti.
Quella fiamma superna è l’intelletto,
E l’umana ragion: chi la nutrica
Per queste basse vie, giammai non erra;
25D’uomo terra divien, divien sozzura
Chi tenebrar la lascia, e chi la spegne,
Dunque per tempo attentamente attendi
A farti chiaro con sì bella luce:
Primieramente il Creatore adora
30Con puro core, e la sua legge adempi;
Siati il nome paterno in riverenza,
E la Patria mai sempre ama, e difendi;
L’oro non disprezzar, ma sopra l’oro
Il vero onore, e la virtude apprezza.
35Così crescendo sorgerai, qual suole
Lungo limpido rio caro arboscello,
Di cui foglia non casca, e finalmente
Carco di frutti per ciascun s’ammira.

XX

AL SIG. JACOPO GADDI.

     Gaddi, ch’oggi sull’Istro, e per li campi
Della fredda Lamagna ami battaglie
La gioventute, e sia disposta all’armi,
Negar non oso, e negherò via meno,
5Che dentro i dicchi della bassa Olanda
Si rimirino popoli feroci.
Più tosto affermerò, che di buon grado
Allo squillar di mattutina tromba
Lascino il sonno, e che gravarsi il dosso
10Con ben soda corazza, e porsi il peso
D’impennacchiato elmetto in sulla fronte
Han per trastullo, ed acconciarsi in spalla
Un moschettone, il ci diranno i Terzi,
E della brava Spagna i gloriosi
15Mastri di campo: ora assommiamo, o Gaddi:
Dico, che nella Fiandra, e nella Francia,
E che, dovunque il Sol mostra i capegli,
Nascono destre da vibrare un’asta,
Da stringere una spada, ed avvi gente
20Da piantar palme sulla lor Tarpea.
Tutto vi posso dir: bella fanciulla
Appiattar non si deve; e similmente
Sincera verità non vuol tacersi;
Però così parlai: ma d’altra parte
25Forte contrasterò, che nè per Fiandra,
Nè per dovunque il Sol mostra i capegli,
Gente leggiadra mirerai, che agguagli
La leggiadria dell’italica gente.
Chi muoverassi a contraddirmi? E dove
30Calzar potrassi una gentil scarpetta?
Un calcagnetto sì polito? Arroge
I bei fiocchi del nastro, onde s’allaccia,
Che di Mereurio sembrano i Talari.
Io taccio il feltro de’ cappelli tinto
35Oltre misura a negro; e taccio i fregi
Sul giubbon di ricchissimi vermigli.
Chi potrà dir de’ collarini bianchi,
Più che neve di monte? Ovvero azzurri
Più che l’azzurro d’ogni ciel sereno?
40Ed acconci per via, che non s’asconde
Il groppo della gola, anzi s’espone
Alle dame l’avorio del bel collo?
Lungo fôra a narrar come son gai
Per trapunto i calzoni, e come ornate
45Per entro la casacca, in varie guise
Serpeggiando sen van bottonature.
Splendono soppannati i ferrajuoli
Bizzarramente; e sulla coscia manca
Tutto d’argento arabescati, e d’oro
50Ridono gli elsi della bella spada.
Or prendasi a pensar quale è mirarsi
Fra sì fatti ricami, in tale pompa,
Una bionda increspata zazzeretta,
Per diligente man di buon barbiere
55Con suoi fuochi, e suoi ferri; e per qual modo
Vi sfavilli la guancia si vermiglia,
Che può vermiglia anco parer per arte;
E chi sa? forse forse... O glorïosa,
E non men fortunata Italia mia,
60Di quella Italia, che domava il mondo,
Quando fremean le legïon romane.
Che tanto trïonfar? Non è bel carro
Da trïonfare un letto? Ed un convito
Non adegua il gioir d’una vittoria?
65Fuggono gli anni rattamente, e tutti,
Tutti torniamo alla gran madre antica.
Gaddi, non dirò più, giusto disdegno
Forse mi tirerebbe a porre in carta
Altro che ciance: Io ti saluto, e quando
70Per l’ora fresca tu passeggi a’ Marmi
Salutami gli amici, e statti a Dio.

XXI

AL SIG. ALESSANDRO POZZOBONELLI.

     Dall’Ariete omai prende commiato
Febo, e da presso ode mugghiar quel toro,
Che hanno i saggi riposto infra le stelle.
Struggonsi i ghiacci, e si disvela il cielo
5A’ sospiri di zefiro soavi,
E per li campi se ne va succinta
In verdissima gonna ogni Napea.
Triton bandisce ne i nettunii regni
Stabile calma, onde si cinge Dori
10Di perle il collo, ed alle rote aggiunge
Galatea, quasi nuda, i suoi delfini,
E però sarpa ogni nocchier: chi dunque
Mi serra in porto? E dispiegar mi vieta
Su negra nave le velate antenne?
15E mi contende il desiato aspetto
Del Tebro antico, e rimirare amici
Cari cotanto? Oh si rinchiuda in fondo
Degli atri abissi ogni sanguigna insegna
Del fiero Marte, e nel profondo inferno
20Rimbombi il suon delle funeste trombe:
Quale sciocchezza? e qual furore? Incontra
Farsi alla morte, e disnudare il collo
Alle percosse dell’odïata falce?
Ah che pur troppo ella per sè s’avventa.
25Ma se le nostre colpe hanno dal sonno
Al fin svegliata la Giustizia eterna,