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del chiabrera 203

Tutta adunossi ne’ reali alberghi;
In mezzo a cui mirabilmente adorna
Gioconda a riverir mosse Anfitrite
110L’alma Giunone; e quando pose il piede
Sulle gran soglie, essa inchinolla, e poscia
Fe’ dal petto volar sì fatte note:
Forse fia stato grave a vostra Altezza
Il sì lungo sentier; ma tanto onore
115Suole a ciascun venir dal vostro aspetto,
Ch’io non seppi frenar le mie preghiere:
Cosi disse Anfitrite; a cui rispose
La suprema Reïna delle nubi:
Dolce mi tornerebbe ogni fatica
120A te servendo, che cotanto onoro:
Or che dirò, che di tue grazie godo?
Così risposto s’avviaro dove
Splendea stanza dorata, e lietamente
Ivi posaro in su dorate sedi;
125Ne molto andò, che ’l Correttor de i venti
Seco in mezzo di Libico e di Coro
Zefiro scorse: ei di fiorita etate
Volgea lucidi sguardi, e d’aurei fiori
Gl’inanellati crin tutto cosparso,
130Moveva appresso al suo signore il passo,
Ma come furo all’alte donne innanzi,
Elle s’alzaro dalle sedi: allora
Piega il ginocchio, e con leggiadri accenti
Gentilmente la lingua Eolo disciolse:
135Del gran favore, ond’egli è fatto degno
Dal tuo benigno spirto, alta Reina,
Viene questo fedele a darti grazie,
Ed io con seco: in ascoltando fassi
Zefiro presso ad Anfitrite, e bacia
140I ricchi lembi della regia gonna,
Ed a Giunon non men: lieta Anfitrite
Poscia, ch’all’accoglienze e posto fine
A se chiamò la giovinetta sposa;
Ed ella venne, ed apparì siccome
145In verde prato un arboscel fiorito
Al vezzeggiar di Primavera, o quale
In ciel si mira l’ammirabile Iri,
O tra belle aure la rosata Aurora:
Era sua gonna di cerulee sete
150Serpeggiata d’argento; e l’aurea chioma
Splendea raccolta con gentil lavoro
Tra reti d’oro; in così nobil pompa
Vermiglia il volto, alabastrina il seno,
Spargendo d’ogn’intorno aure Sabee,
155Piena di lampi il guardo ella sen venne.
Per cotanta beltà ciascun fu preso
Di meraviglia, e l’agitato sposo
Ora fassi di neve, ora di foco,
E dall’aperte labbra a pena spande
160Un mormorio, che la favella intiera
Interrotta fra’ denti si disperse:
Ciascun dolce ne rise; onde gioconda
La gran donna del Mar ciascuno addusse,
E fe’ sedere all’adornate mense:
165Poi che d’alme vivande ebber diletto
Preso a bastanza, e con nettarei sorsi
Colmato il cor d’incomparabil gioja,
Tutta lieta Giunon volgendo il guardo
Incominciò: non è ragion, ch’indarno
170Io sia stata presente a’ tuoi conforti,
Leggiadra Ninfa; anzi voglio io che duri
Teco dell’amor mio lunga memoria;
Però non mai per le marine piagge
Ti farai rimirar, che ’l mio gran Regno
175Non sia tranquillo; io così giuro, e sempre
Nel Mondo il mireran gli occhi mortali.
Al dolce suono de’ Giunonj detti
Sorse de’ fieri venti il buon tiranno,
E prese a dire: O dell’instabile onda
180Ad ogni voglia tua moderatrice,
Per onorar la tua grandezza io scelsi
Fra tutti i miei fedeli il più gentile,
E lo fei sposo alla tua Ninfa; or odi
Ciò che per suo conforto io qui prometto:
185Non vo’ che del mio Regno egli trascorra,
Soffiando intorno, se non pochi giorni
Dell’anno dolce, e più fiorito: e voglio,
Ch’egli non mova, se non quando il Sole
Avrà compita la metà del calle,
190E sferzerà Piroo verso l’Occaso:
Così ben lungamente a lui concesso
Sarà servire alla diletta sposa,
E del caro Imeneo fornir le leggi
Soavemente. Ei così disse: Allora
195La Reina del Mar giojosa impose,
Che alle cetre d’Amor fossero scosse
Le corde d’oro; e finchè notte oscura
Non ricondusse a carolar le stelle,
Furo li sposi in dilettevol danza.
200Ed io lor porgo, o Ferdinando, i prieghi
Per questi vaghi fior, che in Elicona
Colsi a lor gloria, acciò sempre secondi
Siano nel basso mondo a’ tuoi desiri;
E se giammai nel Mar sciorrai le vele,
205La bella Calma t’accompagni, e dove
Spronerai corridor sopra la terra,
Zefiro dolce ti sereni il cielo.


IL FORESTO


CANTO PRIMO

     Per qual maniera si traesse a morte
Attila fiero, e dal mortal periglio
Avesser schermo d’Aquilea le mura,
Oggi lungo il bell’Arno a cantar prendo
5Su nova cetra; nè seguendo Euterpe
Chieggo bugiardo onor dalle sue note:
Diranno i versi miei del bon Foresto
Veraci palme, Italïano Ettorre,
E sommo pregio degli Estensi Eroi:
10Francesco, che di lui tanto ti pregi,
E pur co’ pregi tuoi tanto il pareggi
Dammi l’orecchio, ed udirai supremi
E di pietate e di fortezza esempi
Negli avi antichi te mirando espresso:
15Ei come certe le novelle intese
Del furor empio, che metteva a terra
Degli Italici scettri ogni salute,
Lasciò la sede di Monselce, e ratto