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204 poesie

E tutto ardente ad Aquilea sen corse:
20Ivi col brando invitto, e col sembiante
Coraggiose tornò l’alme smarrite;
Ma per quel tempo su nojose piume
Languia cruccioso, e sostenea con ira
Non lieve angoscia di ferite acerbe:
25E non per tanto ne i celesti chiostri
L’eterno Regnator scelto l’avea
Sommo campion dell’assalite mura;
Ei su nell’alta regïon stellante
Ove dà legge, e tiene a freno il mondo
30Vêr Pietro suo fedel così dicea
Pure in guisa mortal con note eterne:
Credesi il cor dei colà giù regnanti,
Che qui nell’alto ciel non sia chi regni;
E però sorge la malizia, e quinci
35Veggonsi fulminar nostri disdegni:
Provollo Acabbo, e di colui lo scempio
Ch’in Gelboè sè stesso ancise, ed ora
Esempio non vulgar ne fia Menapo,
E seco l’Unno al Vatican rubello:
40Ecco ei s’affretta minaccioso, ed arde
Di porre in fiamma, e dare in polve al vento
Il tuo sacrato e venerabil tempio,
Ma nol farà: via se ne vien veloce
E fassi da vicino il gran momento,
45Ove egli ha da saldar tanti suoi torti;
Moverà giuste le bilancie, e tronchi
Fian per lo scampo suo tutti i perdoni:
Sì disse, ed a quel dir d’eterei lampi
Tutti i campi del ciel furo cosparsi:
50Ma giù nel mondo ad Aquilea d’intorno
Fremeva Aletto invenenata i crini
D’angui fischianti, e seco alto Megera
Divampava da gli occhi incendio d’ira,
E cruda nei sembianti empia diceva:
55Omai l’anno secondo il Sol rivolge,
Ch’Attila mosse dalla patria sede
E qui fra l’armi e fra gli assalti ognora
Via più superbo questo popol trova;
Tenor di fama ad ascoltarsi indegno:
60Nulla può dunque l’infernal possanza?
A che più travagliar? tutte le palme
Sono serbate al guerreggiar dei cieli;
Che si frangano in pezzi, e sia conforto
Lo struggimento lor de gli occhi miei:
65Tal bestemmiando fisse il ciglio in terra,
E battendo le palme ella soggiunge:
Di che paventa? e che sostien d’affanno
Per esso noi questo Menapo? ei sempre,
Ei sempre a lato alla consorte amata
70Gode di lei come in stagion quieta,
E con pompa adornando il fior de gli anni
Sa rallegrar la principessa Agave:
Se dilettando in così nobil figlia;
Ed è chi lascia le natíe contrade,
75E veste usbergo, ed il morir disprezza
Per difesa di lui; gran meraviglia!
Condotto ha di Schiavoni inclite spade
Il fiero Adrasto, e qui l’Italia è corsa:
Qui fiammeggia d’acciar popol di Marte;
80Ma sol Foresto è chi mi tiene in forse,
E chi mi toglie la speranza; stirpe
Eccelsa, invitta, che virtude apprezza,
Che d’ogni altiero pregio ascende in cima;
Se non che troppo il Vaticano adora:
85Questi già delle piaghe, onde è percosso
Sano rifassi, e s’abbandona il letto,
E veste l’armi: o Regnator degli Unni
Quanti trascorreran fiumi di sangue?
Così Megera: Aletto indi rispose:
90Se bastasse il voler, se fosse assai
O forza avesse una preghiera ardente
A sotterra mandar popol nemico,
Omai troncato a brano a brano, omai
Spento Menapo, e d’ogni male in fondo
95Questi popoli suoi foran sommersi;
Ma noi siamo ombre; a mio malgrado il dico;
E troppo è disarmato il nostro Inferno;
Però m’affliggo; ed oggimai non veggo
Ch’Attila s’apra questi varchi, e giunga
100Con asta vincitrice in val di Tebro
Ed ivi strugga la magion di Piero;
Non però perdo l’alterezza; franco
Fia mio cor rubellante al sommo Olimpo
Sempre più d’ora in or: portisi pena:
105Infernale campion non sa pentirsi:
Mentre così diceva atra cosparge
Ira dagli occhi, e dibattendo l’ali
Onde l’aria contrasta, ella discende
Alle di Flegetonte orribili onde;
110Ivi trascorre, ivi imperversa; a nome
Chiama i più forti de’ Tartarei mostri:
Tesifone s’udi, ch’errando intorno
Facea di Stige nei sulfurei campi
Strazio degli empi, onde sì fier latrati?
115Qual ria novella per gl’imperj nostri?
Asia forse è commossa a cangiar fede?
O corre Libia ad adorar la croce?
Tal Tesifone disse; e quivi Aletto
Con occhi biechi e con terribil suono,
120Dammi l’orecchio: il regnator degli Unni
I sette colli d’atterrar bramoso
È posto in corso; ma non ha fortezza
A farsi aperte d’Aquilea le mura.
Menapo i preghi, e le minaccie spregia,
125E franco per valor d’almi campioni
Mena in mezzo agli acciar vita gioconda;
Ma non il campo nostro indietro torni
Forse annojato dall’indugio, o forse
Datosi al disperar, prende paura,
130Or chi farà divieto a’ nostri scorni?
Chi l’antecesserà? da porre in opra
Forza ed ingegno non è questo il tempo?
Allor traendo per furor muggiti
Tesifone gridò: non fia per certo;
135Nè punto cessa, ma volando ascese
Su negre piume alla città steccata,
E come ella si sfaccia a pensar prende:
Qual non ricco pastor, cui fa rapina
Odioso lupo, a vendicar si volge
140Con sdegnoso pensier per varj modi,
Ed amerebbe di sbranar la belva
Con spessissimi colpi, ed a lei spenta
Rimproverar le pecorelle ancise,
Tale il mostro infernal tenta, e ritenta
145Le sue furie sbranar per varie strade,
Nè sa posar lo scellerato ingegno;
Ma quasi stanco in consigliar sè stesso
Alfin disponsi esercitar le frodi:
Danque sottil candido lino invola,
150Che camicia dal vulgo usa appellarsi,