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226 poesie

Come suono vulgar l’inclito Carlo;
Carlo, onde io pregio la mia cetra, e muto
Sembro a me stesso, se di lui non parlo.
Due punti son nel ciel, che giuso in terra
190Chiamansi Poli, ed è ciascuno immoto:
Ma non per tanto sovra lor si volge
La macchina del ciel cotanto immensa:
Un stassi verso Borea, ed è ben noto
A’ cittadin dall’Emisperio nostro;
195L’altro per noi mai non si scorge, e fassi
Manifesto a quei popoli, onde spira
Il tepido Austro dall’Eolio chiostro.
Di più nell’alto campo, ove è cospersa
Tanta milizia di notturne stelle,
200Ammirabile fascia si raggira
Obbliquamente, ed a’ Rifei conversa
Ora s’appressa, ora di Libia a’ regni;
Gran conforto del mondo, ella dispiega
Composta di fulgor dodici segni.
205Primier con terse lane a mirar liete,
Ed il dosso gentil ricco di stelle
Movesi l’Arïete: ei caro a Marte
Vibra le corna con altier sembiante,
Del Greco Frisso alta memoria, e d’Elle.
210Segue suoi passi il Tauro, ed ha cosparte
Di vario lume le robuste spalle;
E con bella aura di muggiti ei desta
Zefiri dolci, e per fiorire i prati
Ad april, che ritorna, allarga il calle.
215Poi l’alma prole, ed ad un parto nati
Aurei Gemelli, e poscia move il Cancro
Con otto piè su per l’etereo smalto;
Ma quasi i suoi splendor son tenebrati:
Costui l’aspro Leon non abbandona:
220Aspro, ma nobil di stellante foco,
Tutto avvampando, se ne va per l’alto.
Vago di tanti rai qui tosto ha Febo
Ampia magion, cui non minaccia il tempo,
Ne gli anni unqua non stanchi hanno ardimento
225Incontra lei d’apparecchiare assalto;
Così fondata, e d’ogni intorno è forte.
Qui di vivi rubin logge trecento
Ardono di piropi, e il pavimento;
Scolpite di diamante alte colonne
230Reggono i tetti, e son zaffir le porte.
Fassi poscia veder la bella Astrea
Inclito pregio dell’Eteree donne:
Ella già visitò gli egri mortali
Quando fur giusti, e non faceano oltraggi.
235Ma poi schifa di piaghe, e di rapine
Rapida colassù dispiegò l’ali;
Ed ora a quei, che già lasciò, viaggi,
Fatta amica dell’Arno, ella ritorna:
Tanto porge diletto agli occhi suoi
240De’ gran Medici il seggio, e tanto ammira
L’inclito scettro de’ Toscani eroi.
Appresso lei posta è la Libra, ed indi
Muovere i piè lo Scorpion si mira:
Indi il Centauro colla destra appare
245Armato d’arco, e dietro lui s’affretta
Orrido a rimirarsi il Capricorno.
Sotto costor non si travagli il mare:
Verna la notte nubilosa, e spuma
Il gran padre Ocean: con gran periglio
250Porterebbe nocchier le merci intorno,
Undecimo sen vien crespo le chiome
Regio garzon, che lucid’acqua spande.
E si dimostra al fin Gemino Pesce
Le pure squame di fin or distinto.
255Cotal circonda il ciel fulgida fascia
Obbliquamente, e di virtù ben grande.
Or chi desira ravvisare i lumi,
Di che si vede popolar l’Olimpo,
Erga l’orecchio ad ascoltarmi. Inverso
260Il Polo Boreal scorgonsi fissi
Non più che sopra venti astri lucenti:
Due son le due belle Orse: il terzo appresso
È quel dragon, la cui memoria in terra
Deono invidiar gli altri serpenti;
265Quarto è l’Artofilace: indi si gira
Fatta di nove stelle alma corona:
Poscia quel fier che s’inginocchia, ed alza
La durissima clava: indi è la Lira.
Vecchia fama tra noi dolce risuona,
270Che de’ suoi cari amor vedovo Orfeo
Trascorse del Pangeo l’aspre foreste;
E temprando col suon l’angoscia rea,
Te dolce sposa, te ne’ gioghi alpestri,
Te, se soggiorno, te, se annottò, piangea,
275E facea l’aure lagrimose, e meste:
Altro che rimaneva, onde conforto,
Onde ricercar tregua al duolo interno?
Come sforzar del ciel l’alto decreto?
E con quai pianti raddolcir l’inferno?
280Ben sette mesi alle Strimonie piagge
Fe’ sue querele, e sette gli antri Alpini,
Sorpresi da diletto al suo lamento
Corsero i tigri per udir vicini:
Tal per le selve rusignuol doglioso
285Lagrima i figli, cui rapì dal nido,
Ancor senz’ali, dura mano, ed egli
Sovra esso un ramo intra le foglie ascoso
Il ben perduto miserabil piagne;
E tutta notte rinnovando il duolo
290Empie de’ pianti suoi l’ampie campagne.
Nulla bellezza il vinse, ebbe a disdegno
Qualunque letto; e lagrimoso, e solo
Lungo le sponde de’ gelati fiumi,
E fra l’orror delle rifee pruine
295Traeva guai sovra il suo caso indegno:
Dalle repulse, quasi oltraggi, al fine
Arse le belle della Tracia armaro
La fiera destra; e per gli patrii campi
Dando orribile assalto all’infelice,
300Il bellissimo corpo empie sbranaro:
Allora il tronco busto Ebro volgendo
Tra’ gorghi inverso il mar, la nobil testa
Chiamò con fredda lingua anco Euridice:
Ed ivi l’alma in sulla fuga estrema
305Dicea con note ad ascoltar mal vive:
Ah misera Euridice! e d’ogni intorno
Pur Euridice rispondean le rive.
Tal Orfeo giacque; ma l’amabil Lira
Onde ebbe tante meraviglie il mondo,
310Nell’alto delle sfere oggi s’appende;
Ed al guardo mortale, alma memoria,
Con rai di nove stelle anco risplende.
Poscia l’albor delle famose piume
Dispiega il Cigno, e presso lui Cefeo;
315Indi vicin Cassiopea rivolge;
Ed Andromeda poscia il suo bel lume;
Ne meno i suoi fulgor vibra Perseo