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del chiabrera 227

Mirabilmente: non lontan fiammeggia
Chi sulle rote carreggiò primiero.
320Vedesi poscia un che terribil strigne
Serpente intorto; indi lo stral lampeggia,
Cui già ripose Alcide in sua faretra:
E poscia degli augei l’alta Reïna
Allarga i vanni, e ne’ celesti alberghi
325Chiare fiammelle per suo pregio impetra:
Quinci è vago veder l’umana belva,
Per cui vinse Arïon l’onda marina.
O di frale tesor malvagia sete,
A che non traggi i petti? Avara turba
330A prieghi fatta, ed a querele sorda
Già sospingeva il giovinetto in mare.
Ed ei dolente in sulla Lira accorda
Flebili note colla nobil voce:
Ed ecco vinta da pietate appare
335La gentil fera, e lo levò sul tergo,
E lo condusse alla Tenaria foce:
Quinci di sua pietà bel guiderdone
Gode il Delfin, che dalle salse spume
Levato al ciel per li leggiadri ingegni,
340Ha fra le belle stelle aurea magione;
Quinci il destriero, ed a mostrar poi viene
Le chiarissime penne il gran Pegaso:
L’alto Pindo con l’unghia egli percosse,
E ne fece sgorgar l’almo Ippocrene;
345Ammirabile fonte, onde commosse
Son della gente peregrina, e scelta
L’anime nate agli Apollinei canti:
Al fin fassi mirar l’Argivo Delta.
Sì fatto in vêr Settentrïone è fisso
350Numero d’astri: ma nel Polo Austrino
Si volge l’Orca, del cui fiero aspetto
Già paventava il popolo Etiopo:
Seco s’aggiunge il fiume, onde si riga,
Di pioggia in vece, il regno di Canopo:
355Fugge da poi la timidetta lepre
Di sei splendor le belle membra sparsa;
Ed Orïon, di formidabil cinto
Guernito i fieri fianchi, e d’aurea spada,
Minaccia a’naviganti aspre tempeste:
360Indi latrando per l’eterea strada
Sembra, che muova Sirio, e dal suo corso
Non si scompagna un varco il Can minore;
Ardentissimi lumi, alle cui fiamme
Viene arida la terra, arida l’aura;
365Felice allor, chi d’un gelato rivo
Può dare al petto il cristallino umore.
Ora innalza le ciglia, e venir mira
La nave, che Ocean solcò primiera,
Ed osò disprezzar l’alte procelle
370D’Anfitrite ne i campi. Io sull’arena
Passeggiava una notte, e lungo il mare
Ascoltava di lei per simil guisa
Cantar soavemente alma Sirena
A vaghe Ninfe; già guardossi in Coleo
375Per acerbo tiranno un vello d’oro,
Altiero arnese, e sua gentil ricchezza
Di molti duci il desiderio accese:
Al fin con mille Eroi sorse Giasone,
E fabbricò d’abeti eccelsa mole
380Sovra cui dell’Egeo soverchiò l’onde
Nocchiero invitto, e del gran Fasi al fine
Giunse alle sponde: ivi terribil mostri
Ebbe all’incontra, tori alto mugghianti,
E per gran corna di metallo orrendi:
385Forte a pensar, che delle fiamme Etnee
Spandeano intorno minacciosi incendi;
Nè men dal grembo dell’arata terra
Germogliaro guerrier, prole di Marte,
Che aste temprate con tartarei canti
390Vêr lui vibrava, e l’assaltava in guerra;
Vedeasi sposto a rio morir, se vaga
Di lui Medea non diveniva amante,
E di campar non gl’insegnava l’arte.
Costei figliuola del tiranno, e maga
395Trasse cotanto ardor dal re straniero,
Che arse per ogni vena; alto contrasto
Ella ben fece alquanto al suo pensiero;
Ma vinta al fine abbandonò sè stessa
Per duo begli occhi, e dispregiar dispose
400Ed i parenti, ed il paterno impero:
Quinci domò le ciglia al gran serpente,
Che da Cimmerio orror non si vincea,
Lo cosparse di sonno; e l’aurea spoglia
Entro la man del peregrin ripose,
405E seguitollo nella terra Achea.
Misera lei! che in breve tempo apprese
Siccome Amor nelle Caucasee selve
D’orrida tigre rasciugò le mamme,
E fiero crebbe fra terribil belve;
410Egli a lei madre de’ figliuoli il sangue
Spargere consigliò, malvagia madre!
Malvagia madre, o pure atroce Amore?
Atroce Amore, e tu malvagia madre,
Che a tanto scempio rivolgesti il core.
415Così dicea del mar la bella Diva;
Indi seguì, che l’onorata nave
Collocossi nel cielo a render chiari
I gran viaggi della gente Argiva.
Poscia vedesi l’Idra, e seco il Corbo,
420Il Corbo già sì negro, ora sì chiaro;
E seco insieme la gioconda coppa,
La coppa di Leneo: seco ella mena
Il padre Autunno pampinoso i crini;
Lietissima stagion, che l’alme avviva,
425Che tra le cure acerbe il cor serena.
Non chiniamo le ciglia; il buon Chirone
Ecco sen viene: al germe di Peleo,
E d’Esculapio, alla più fresca etate,
Ei dottrina d’onor diede in Tessaglia.
430A colui cinse il brando, e disse come
Correr dovea tra le falangi armate,
Onde lo scorse fulminar Scamandro,
E dare ad Ilïon crudel battaglia:
Infaticabile, implacabil spinse
435All’atro inferno le Dardanie torme;
Ed al fin, di disdegno altiero esempio,
Sferzò d’intorno alle trojane mura:
E trïonfo sovra l’Ettoreo scempio:
Ah fiero petto, ed ove rabbia il tira?
440Per li campi d’Assaraco travolve
Lui, che fu della patria alto sostegno:
Ne lo commove Andromache, che il mira.
Ad Esculapio raccontò d’ogni erba
L’alma virtute, e fe’palese quale
445In sè possanza richiudesse ogni onda,
Onde guardo da morte ogni mortale:
Nè gli bastò, che di Cocito i gorghi
Recossi a vile, e fe’ di Teseo il figlio
Abbandonar la regïon profonda;