Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/241

Da Wikisource.
228 poesie

450Ma dall’ombre d’Inferno il gran Tonante,
Sdegnando in vita alcun mortal tornarsi,
L’operator di così gran virtude
Arse fra’ lampi fulminosi, e spento
Precipitollo alla Letea Palude.
455Chi crederia, che nelle rote eccelse
Splendesse il Lupo? E tuttavia vi splende
Di varie stelle infra le fiamme chiare:
Ma dentro quattro luci, ed egualmente
Fra lor distanti, e ben disposte in quadro
460Si scorge stelleggiato un ampio altare:
Scorgesi poscia d’Isïon la rota:
E finalmente il vago pesce appare.
Così del ciel per lo ceruleo smalto
Son posti i lumi, e nell’orror notturne
465Delle stelle l’esercito fiammeggia;
Ma non perchè sian nominate l’Orse,
Ed il Leon Nemeo, ragion consente,
Ch’elle sian colassù creder si deggia,
E che facciano in ciel soggiorno i mostri
470Finto è così, perchè all’umano sguardo
Più chiaramente ogni Astro si dimostri,
E di lui fortemente si rammenti:
Fingesi ancor per accennare altrui
La lor virtute, e come sian quei lumi
475Quaggiuso in terra ad operar possenti;
Nè men per onorar l’alte fatiche
Dell’alme grandi, e rischiarar lor gloria,
In cui mirando le leggiadre genti
Vengano poscia del valore amiche.
480Oh se a’ dì nostri rinnovar memoria
Per tal via fosse dato a’ sacri ingegni,
Quanti di stelle, e d’osservati lumi
De’ gran Medici il sangue avrebbe segni?
Vêr Boóte girarsi altra corona
485Per sè nel mezzo de’ superni ardori
Vedrebbe Cosmo il fondator di regni:
E spargeriasi di più gran splendori
In ciel per Ferdinando eccelsa immago:
Nè dell’inclito erede a i pregi altieri
490Formeriansi nell’alto Astri minori.
Ma per te, gloria delle patrie sponde,
Del chiaro Tebro desiderio, e speme
Carlo, farian le Muse un segno solo?
Certo non già, ma negli eterei fochi
495Ben cento de i più grandi, e foran pochi.

IX

IL PRESAGIO DE’ GIORNI

ALL ILLUSTRISSIMO ED ECCELLENTISSIMO PRINCIPE

D. LORENZO MEDICI.

     Se giammai per campagne alpestri ed erme
Ruppe le cacce tue bruma improvvisa,
Invidïando a’ tuoi diletti, ascolta
O de’ regi Tirreni amabil germe,
5Quel, ch’oggi io canto, e ti fian conti i giorni
Da dare assalto alle selvagge fere:
E se volgendo gli anni in campo armato
A bella impresa spiegherai bandiere,
Saprai da i nembi irati, e dalle spume
10De i fier torrenti assicurar le schiere:
Ne men spiegando le velate antenne
Apprenderai quando s’adegua in calma,
E quando il mare ha di gonfiar costume.
Io non vaneggio; a’ piè di Pindo intesi
15Delle vergini Muse i canti egregi,
E gli commisi alla mia cetra intenta
Mai sempre in terra a riverire i regi;
Or dà l’orecchio a i non vulgari accenti.
Se quando l’Ore con la man di rose
20Al focoso Piroo mettono il freno,
E l’Alba dell’Olimpo apre le porte
Al Sol, che torna ad illustrare il mondo,
Ei cosparso di macchie sanguinose
Move per l’alto, e rugginosa nube,
25Quasi di fumo il va tingendo intorno,
Sì che ’l volto di lui non sia giocondo,
Posa Lorenzo, e nelle regie stalle
Lascia il destrier, che ne i turbati giorni
È mal consiglio travagliar le selve:
30Godano alcuna requie i fier molossi,
E stian sicure in suo covil le belve;
Però che i prati, e le solcate piagge
Inonderà nembo di verno, e scesa
Dal seno delle nubi orrida pioggia
35Trascorrerà le regïon selvagge;
E se vedrai del Sol la faccia offesa
D’atri colori, e rosseggiare a sera;
O se quando del mar tocca i confini
Ei disperge per l’aria i raggi d’oro
40Confusamente, e si rabbuffa i crini,
Aspetta il giorno, che verranne appresso,
Aspro, e perverso: orribilmente foschi
Fieno i campi dell’aria, e fiero sdegno
D’acque sopra la terra, e Borea, ed Ostro
45Impetuosi abbatteranno i boschi.
Tal era il Sol, quando su rei Ciclopi
Fe’ del morto Esculapio aspra vendetta:
Allora ei tese l’arco, e scelse i dardi
Nella faretra, che pendea sul tergo;
50E tre fïate con la destra irata
Scoccò la corda, ogni percossa stese
D’un fier gigante le riarse membra
Sull’ampio suol dell’affumato albergo.
Nè meno al guardo uman segno sicuro
55Porge di tempo rio l’umida luna,
Quando sorge novella, e quando appare
Per lo smalto del ciel di velo oscuro
Tutta coperta: e s’ella poi sen poggia
Per le superbe vie bruna le corna,
60Regnerà pioggia; e se nel terzo giorno,
Da che mostrò nell’alto il puro argento
Le pareggiate corna al ciel rivolge,
Regnerà vento: ma tien fisso il guardo,
Che se nel quarto dì, da che raccese
65Cintia la face ne i fraterni lumi,
Da densa nube ella sostiene oltraggio,
Ed abbia corna rintuzzate, allora
Torbidi udransi risonare i fiumi
Per grossa piova: e rinforzando orgoglio
70Usciran mostri dall’Eolio speco
Gonfi le gote, e tempestando i campi
Apporteranno all’Arator cordoglio.
Or solleva la fronte, ed alza il ciglio
Per lo seren delle celesti piagge,
75Mentre Febo nel mar lava le rote
Dell’infocato carro, e terge i rai
Nell’ampio sen della cerulea Teti,