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del chiabrera 231

100In sulle piagge di Parnaso amate
Là, dove lava d’Ippocrene all’onda
Le terse trecce, e con nettarei fiori
Tesse fulgidi fregi a sua beltate.
Al suo partir sulla solinga sponda
105Muto io rimasi, e su quel dir pensoso,
In cor mi venne il singolar tuo nome,
Nobil Maffeo, cui non Sidonia, o Tiro,
Ma sacro il Vatican tinse quell’ostro,
Di che t’adorni l’onorate chiome.
110Già lungo il Tebro per tua man rimiro
Farsi flagello onde percosso in bando
Sen va l’Oltraggio e la Malizia, ed odo
Astrea discesa divulgar sua legge
Fra i sette Colli, e l’Innocenzia è seco,
115Da che vegghiando il tuo saper corregge:
Ma quando al sommo degl’Imperj giunto
A’ sacri baci offerirai le piante,
Roma non pur, non pur vedran suoi colli
Splendere l’oro del buon tempo antico,
120Ma ciascun regno, ove il gran Dio s’adora,
Tornerà lieto, e di virtute amico.

XI

LA CACCIA DELL’ASTORE

ALL’ILLUSTRISSIMO SIGNORE

IL SIG. DON VIRGINIO CESARINO.

La bellissima cetra, onde gioiva
L’onda di Dirce, e del Tebano Asopo,
Oltra ciascun diletto in pregio io tenni,
Mentre che gioventute in me fioriva;
5E di sue corde e di suoi tuoni altieri
Sì l’arte appresi, che illustrar potei
Con non vulgare onor sommi guerrieri:
Corser poi gli anni, e di vecchiezza il gelo
Vinse con tal rigor gli spirti miei,
10Che lei più maneggiar non san le dita.
Oh se in quel tempo tua mirabil luce
Era sull’orizzonte almen salita,
Di te, Virginio, che dicean miei canti
Eccitati dal merto? e come dolce
15Stato mi fora celebrar tuoi vanti?
Che ti vien manco? lo splendor del sangue?
Ma romana è la stirpe, onde discendi:
Forse tesor? ma di tributi abbondi:
Forse beltà? ma come un Sol risplendi:
20Caro alle Muse; e dell’argivo Ilisso
Guadi i gorghi più cupi e più profondi
Possente a passeggiar l’ampio Liceo.
Ove trascorro? Ah che mi sforzo in vano:
I gran titoli tuoi Ciampoli dica
25Oggi Pindaro novo, e novo Alceo.
Ei potrà sostener l’alta fatica,
Che annidarsi in Castalia ha per costume:
lo trastullando il tuo pensier vo’ dirti,
Come predando per gli aerei campi
30Il ghermitor astor spiega le piume.
Quando vibrando l’ôr de i chiari lampi,
Con via più breve corso, il ciel rinchiude
Il nostro giorno in grembo a Teti, e spira
Omai per l’aria di Boote il fiato,
35Escasi fuor col predatore augello
Sul nobil pugno, trascorrendo il prato,
E dove di cristal move ruscello,
O dove in lieto piano acqua ristagna,
Nè men su falda di selvaggio monte
40S’affretti il passo, e ricercando preda
Non si lasci quetare altra campagna,
Un sì fatto diletto a te concede
Febo, da che movendo il carro aurato,
Si lascia addietro lo Scorpion celeste,
45Ed il Centauro ad illustrar sen riede.
Tu, se per addolcir cure moleste,
E perchè il volator provar sen deggia,
La mano allarghi, il mirerai veloce,
Quasi strale avventarsele sul tergo,
50Come la scorge, e strangolar l’acceggia,
Nè meno il mirerai da presso un lago,
Ove pinta anitrella elegge albergo:
Costei pasciuta in sulla riva aprica
Vaga di mareggiare in limpide onde
55Vi s’attuffa scherzando, ed or le penne
Ne bagna, ed or la testa entro v’asconde:
Talor de’ larghi piè facendo remi
Solca del pelaghetto intorno ai lidi,
E gorgheggiando, dal contorto collo
60Fa per l’aria volar festosi gridi;
Ma sul goder delle piacevoli ore
Sotto l’artiglio del feroce augello,
Ed al ferir del curvo becco piagne
La miserella i suoi sinistri, e muore.
65Che dirassi de’ gru, che le campagne
Varcan dell’aria, ed han cotanto ingegno,
Che per la lunga via san squadronarsi?
Col piè stringono pietre, e si fan gravi
Incontro al soffio d’Aquilone, e pure
70Dall’inimico astor non san salvarsi,
S’unqua gli assale. Ma quantunque miri
Il gru sì vago, e variato l’ale
Di più color, non ti curar su mensa
Di volerne acquetare i tuoi desiri;
75Vile esca popolar; ma se ti cale
Con nobil cibo celebrar tue cene
In lieti giorni, ed onorando amici,
Spiega l’insegna, e movi guerra a starne,
E fa di dar battaglia a coturnici:
80Di qui potran vantarsi i tuoi conviti
D’offerire ad altrui care vivande,
Quando il secolo nostro omai condanna
La stagion di Saturno, e stan sepolte
In lungo obblío le celebrate ghiande:
85Se poscia a Dame altere, allor che regna
Dolce Imeneo fra le canore danze
Sei bramoso apprestar pasto sovrano,
Tralascia infra gli eserciti volanti
Ogni rapina, e trascorrendo i campi
90Con intenso piacer preda il fagiano.
Afflittissimo lui, che altrui pascendo
Sempre è famoso. Era costui figliuolo
Di Tereo, e Tereo era Signor de i Traci,
E Progne ebbe a consorte: ella era prole
95Di Pandïon, già regnator d’Atene.
Vissero un tempo in riposata sorte
Appien felici in sulla terra, e poscia
Svegliossi Amor, fabbricator di pene,
E gli coperse d’infinita angoscia:
100Lunga è l’istoria: io trascorrendo il colmo
Sol delle cose ne farò memoria.