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del chiabrera 243

105E lo portaro alle reali tende,
Vaghi d’ornarlo. In quel momento scorse
Gli affanni lor Tersicore, soave
Ninfa di Pindo, e dispiegò le piume
Inverso il cielo, e ritrovò l’Aurora.
110Era l’Aurora d’odorate rose
Sul far ghirlande, e raccogliea bei gigli
Per seminarli in ciel, tosto, che il Sole
Sgombrar volesse la Cimmeria notte,
Gli egri mortali risvegliando in terra:
115Ed ecco sparsa il crin dell’auree trecce,
E scolorita i rai del chiaro sguardo
A lei fassi veder la nobil Ninfa,
E con fervido sdegno a parlar prende
Pur lagrimando: Dell’Aonie Muse
120Io mi sono una; e lo Strimonio fiume
Ebbe prole di me, che i Tracii regni
Già governava, ed appellossi Reso:
Egli sen venne ad ajutar di Troja
Il rege amico; e nel miglior del sonno
125Ignudo affatto in sulle proprie piume
Con ferro Ulisse traditor lo spense:
A poco dianzi del feroce Achille
L’asta micidïal Mennone uccise,
E vanne altiero, e del suo mal si gode:
130Or vedrò se sei madre, o pur se obblio
Lungo ti prende dell’amabil parto:
Che non corriamo a piè del sommo Giove?
Che non voliamo a dimandar vendetta?
Non deve il nostro duolo aver conforto?
135Non siam noi Dive? A sì crudel novella
Trasse lunge da sé l’Aurora i gigli,
Trasse le rose; e per l’eburneo petto
Mandaro que’ begli occhi un fiume a terra;
Al fin gridava: in sul fiorir degli anni,
140Quando era da goder tua giovinezza,
Mennone giungi indegnamente a morte.
Eri tal uomo tu, che il mondo in pregio
Aver non ti dovesse? o son miei pregi
Vili cotanto, che io sia fatta degna
145Di udire, e di soffrir tanto cordoglio?
Chi verrà vago di servire a Giove
Omai per l’avvenir? se io, che fo scorta
Eternamente al gran cammin del Sole,
Ho tal mercede. Ora abbandoni il mare,
150Sorga Tetide in cielo, ella raccenda
All’Universo i mattutini albori:
Io tra gli abissi abiterò; là dove
Mennone giungi a dimorar per sempre.
Così dicea, nè si vedea far tregua
155Co’ fervidi sospiri, anzi dal fianco
Infra singhiozzi gli spargeva intorno
Via più cocenti e più dolenti ognora:
E già Febo era presto al gran viaggio
Ben luminoso, e’ suoi destrier veloci
160Omai pasciuti di nettarea biada
Chiedean nitrendo i freni d’oro, e d’oro
Ferrato il piè, feano sonar zappando
Il pavimento dell’etereo smalto.
Ma non vedeansi del zaffiro eterno
165In Orïente disserrar le porte,
Per dare il giorno a’ risvegliati spirti;
Però commosso di Saturno il figlio,
Mandò repente alla dogliosa Aurora
Iride messaggiera: ella volando
170Trovò l’afflitta Diva in un momento;
E con labbra di rose a dirle prese:
Io vengo a te, che di Saturno il figlio
Lo mi comanda: è suo volere, o Diva,
Che tu non lasci i comandati uffici,
175Acciocchè il mondo non ne senta offesa:
Fatti saper, che sopra il pian di Troja
Cadde pugnando Sarpedone ucciso,
Prole sua ben diletta; e quinci a poco
Pianger vedrassi la marina Teti
180Sovra la morte del suo caro Achille.
Qui tacque la celeste messaggiera,
E ritornò volando al suo soggiorno.
Ma l’Aurora adempiendo il gran volere
Del sovrano Monarca, aperse il varco,
185Pur come sempre, all’Apollineo carro,
E precorreva i suoi destrieri ardenti,
Non già punto gioconda; anzi piovea
Dagli occhi luminosi amare stille
D’alma rugiada; ed elle, scese in grembo
190Soavemente all’Oceáno Eoo,
Il fèro ricco di lucenti perle
A femminil beltà sommo tesoro.
Ma come poscia sua mirabil polve
Aggia virtù di medicare il core,
195Che dentro il petto sovrassalta, e come
Rischiari le pupille annuvolate,
Nol ti dirò: tu per te stesso il sal,
O ben vissuto Castelletti, in cui
D’ogni cosa gentil fassi conserva,
200A cui segreto alcun non si nasconde,
Che sia prezzato da’ leggiadri spirti.

XX

IL RAPIMENTO DI PROSERPINA

ALLA SIGNORA

ISABELLA BERTI CICOGNINI.

     Mille prove d’Amor su mille cetre
Già si cantaro infra la vaga gente,
E crearo quei canti almo diletto:
Ora una Euterpe me ne torna a mente;
5Ciò fu quando Plutone ebbe nel petto
Fuoco più forte, che la fiamma inferna,
Onde involò di Proserpina il volto,
E di quelle bellezze ornò suo letto.
Donna, che d’Arno in riva il core hai volto
10Verso Ippocrene, e che non può sventura
Disvïar da quei gioghi il tuo pensiero,
Porgi l’orecchio a mia canzon novella:
Tu scorger puoi di Pindo i bei segreti
Chiusi alla plebe, o fra le Aonie Dive
15Ad onta del destin, saggia Isabella.
Odo narrar sulle castalie rive,
Che il superbo figliuol di Citerea
Un dì vantossi, e sull’Olimpo eccelso
Fra gli altri Numi sollevando l’arco
20Colla man pargoletta, alto dicea:
Ecco l’armi possenti, onde trionfo
Sopra qualunque cor dell’Universo:
Chi negarlo oserà? questa faretra
Gli orgogli abbatte d’ogni spirto avverso.
25Or ciascun tremi: e così lieto in viso
Vibrava i dardi, e balenar facea