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280 poesie

XIV

LE FESTE

DELL’ANNO CRISTIANO


A MONSIGNOR

GIOVANNI CIAMPOLI

Segretario di Nostro Signore

PAPA URBANO VIII


LIBRO PRIMO.

     Che la cara e diletta rimembranza
Delle belle alme, che l’Olimpo serra
Dentro gli alberghi della pace eterna,
Sia riverita ed adorata in terra,
5Biasma Luter, biasma Calvin, maestri
D’alta sciocchezza nella scuola inferna.
Latrator scellerati: alle lor grida
Diano l’orecchio di Sassogna i mostri
Imperversati, e di Gebenna gli empj;
10Ma noi fedeli al Vaticano cocelso
A spirti, divenuti almi e divini,
Sacriamo altar dentro marmorei tempj;
Ed io sceso di Pindo in manti adorni,
Oltra l’usato, ghirlandato i crini,
15Amo di celebrar con nuova cetra
Per loro nome i festeggiati giorni,
O Musa tu, che ne i seren dell’etra
Mai sede, Urania, ove bella arte apprendi,
Onde l’umane menti alto sollevi,
20Onde gli spirti a ben cantare accendi,
Spiega le piume, e mi t’appressa, o Diva,
E le sacrate cose a dettar prendi
Fra i sette Colli, e qui del Tebro in riva.
Meco forse vaneggio? o pur si mira
25Per me la Ninfa del Castalio fiume?
Mirasi certo: ecco per l’aria spande
Inclite note con eterea lita:
Deh volgi il guardo, e la raccogli, o Nume,
Sorto a sgombrarne tenebrosi orrori,
30Ciampoli, grande infra più chiari lampi,
E glorïoso oltra l’uman costume.
Nella stagion, che già s’allunga il giorno
A passo lento, e che sen viene il Sole
All’Orse stelleggiate, e ch’egli alberga
35Nella fredda magion del capricorno,
Dassi all’anno cristian cominciamento,
E s’adora per noi l’alma giornata,
Però che in essa cominciò del mondo
Il Redentore a sofferir tormento.
40Era dall’Ocean l’ottava aurora
Sorta della sua vita, ed ei s’espose
Di sacerdote alle canute braccia
Il sacerdote con l’usate guise
Tenute allor per immortal decreto
45La pelle innocentissima, recise.
Già non era mestier, il gran Messia
Serbasse in sè l’universal costume
Non era uom finto, e volea farne prova;
E questa verità con argomento
50Di sangue sparso divenia palese:
Al buon padre Abraam giù fu promesso,
Che di sua prole apparirebbe in terra
Il desïato dall’umana gente,
E comandossi ad Abraamo istesso,
55In modo tal suoi successor tagliarsi.
Dunque, che d’Abraum fosse famiglia
E quinci esser potesse il nostro scampo
Già non poteva al Redentor negarsi,
Allora il nome così caro ei piglia
60Gesù s’appella; nome caro a dirsi
Caro sopra ogni suon d’altra parola,
E pur sopra ogni suon caro ad udirsi
Nome, che in ciel sempre s’adora; nome,
Cui sulla terra ogni mortal s’inchina
65E per cui nell’abisso, ove ei s’ascolta,
Ogni demon per tema erge le chiome
Ma questo, che rinchiude in sè memoria
Di pena e di dolor; sanguigno
Un altro seguitò, che porta gloria
70Al Signor nostro d’ammirabil pregi.
Ause per l’Orïente altiera stella,
Unqua non vista più, ma non ignota;
All’incendio di lei mosser tre regi.
Essi la reggia di Sïonne entraro,
75Pronti cercando il regnator di lei
Dianzi pur nato: ed in Betlem di Giuda
Nel vilissimo albergo il ritrovaro.
Ivi, siccome a Dio con umil volto
Inginocchiati sulla terra ignuda
80Porsero segno dell’interna fede;
Incenso, mirra e lucido oro offriro,
Ed indi a sua magion volsero il piede.
Ed era allor che del gelato mese
Facea Febo dorato il sesto giro;
85Ma poi che giunge, e non con molto ardore
La febea lampa dell’Acquario all’urne,
E che hanno aperto le volubil ore
Venti fiate al Sol con man di rose
Il forte smalto dell’eteree porte,
90Ecco adornansi altar; spoglie odorose
Apprestansi al vestir de i sacerdoti;
Ed al baron, per cui Narbona è chiara,
Volano d’ogn’intorno inni divoti.
E qual sia lingua in celebrarla avara?
95E qual pensier non gli dee dar tributo?
Alto guerrier, che la milizia altiera,
Ove era scritto, e vi splendea sublime,
Seppe schernire; e posto segno a’ dardi
Ad onta immensa del crudel tiranno,
100Seppe alzarsi trofei pur col morire.
Che fero gli archi in lui? crude quadrella
Apersero in quel sen fonti di lume,