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DEL CHIABRERA 287

Tal è nel petto il mio desire: intanto
Con dimessa armonia tesserò rime;
Nè vili appariran, se loro avverso,
Ciampoli, in Vatican non ti dimostri,
O possente ad aprir nuovi Pegàsi,
E far su Pindo verdeggiare allori,
Più sacro Febo de’ Castalii chiostri.
Allor che Febo con l’Icaria figlia
Fa suo cammino, e che diletto a Bacco
Ne vien settembre, e che dell’uve omai
Altra divien dorata, altra vermiglia,
Il Sol del biondo crin tragge i bei rai
Tre fiate dal Gange, e mena il giorno,
Ove Anna espose il gran Portato; giorno,
Che il nome femminile alto sublima,
E d’ogni alta virtute il rende adorno.
Maria ci nacque; ed è ragion, che gioja
Ingombri a dismisura e Cielo e Terra.
O peccator, di penitenza t’arma,
Ed apprendi all’Inferno omai far guerra:
Non sgomentar se ti si fanno incontra
Le colpe andate, al Tribunal divino
Non sgomentar, si troverà Maria
Sempre Avvocata ad impetrar pietate.
Ma quando più del Sol non si querela
Il dì, che della luce ha parte uguale,
E l’atra notte non glien fa rapina,
Non daremo sue lodi al gran Matteo,
Grande, perch’ei notò ia gran dottrina
Del gran Maestro; e perchè nobil morte
Gli guadagnò nel cielo auree ghirlande:
Grande in piantare, e sublimar la Croce
Fra genti strane; ed in gittare a fondo
Altiere insegne de’ Tartarei grande.
Indi non men per la milizia immensa
Dell’Angelica esercito festeggia
Devotamente ogni cittate. Ed indi
Di Girolamo fassi alta memoria:
Memoria degna, che s’appoggia al merto,
Merto, onde cresce il Vatican sua gloria.
Ma poscia, che d’ottobre il quarto Sole
Torrà dal Polo la Cimmeria notte,
Il mattin viene, che Francesco onora:
Maestro de’ Mendici, egli non scelse
Le care a tutti i cor conche di Gange,
Ed i tanto ammirati ostri Fenici,
Ma grotte alpestre, i cui profondi orrori
Il più fervido Sole unqua non frange;
E di bell’Alpe infra solinghi alberghi
Solo non dimorò; con Povertate
Trassevi l’aspra, e di quaggiù sbandita
Eccelsa e profondissima Umiltate;
E la non finta Caritate ardente,
Ch’ama l’altrui, come la propria vita;
Nè men la Pudicizia, onta d’Inferno,
Che da lascivia sa schermir la mente.
Quinci nella stagion, ch’ombra riduce
Notte più tetra, a’ suoi smarriti passi
Apparse scorta di celeste luce
Verso l’oltraggio di profondi errori;
E nella forza dell’orribil verno
Sotto i suoi piedi germogliaro i fiori
Ei comandava; e per l’aeree piagge
Venian gli augelli ad ubbidirlo intenti;
E sulla terra delle nubi asciutte
Fea co’ suoi detti riversar torrenti;
E nelle rive, in che volgeansi l’acque
Di vin costrinse mormorar bel fonte,
Gentil conforto all’assetate genti:
O spirto per virtute in te dimesso,
E sovrano fra grandi, in quale parte
Non corrusca il fulgor de’ tuoi be’ rai?
E sulla terra, e su nell’alto Olimpo
Che non può tua preghiera, e che non fai?
Tu gli occhi spenti rifiorir di lume;
Tu le squadre de’ morbi, e tu disarmi
L’invitta morte della falce orrenda:
A te danno sue prede oltra il costume
L’oscure tombe, e nel profondo Inferno
Fiero mostro non è, che a te contenda:
Per te raccorre aspre montagne, e selve
Aprono spechi; e suo furor perverso
Volgono in vezzi formidabil belve.
A che parlar, s’ogni parlar vien manco?
Chi parlerà d’un Uom, che a Dio converso
Valse immagine trar da quelle piaghe,
Per cui trovossi scampo all’universo?
Ambe le palme, e l’uno e l’altro piede
Amor trafisse; e per amore il fianco
De’ martiri di Dio si fece erede:
A che parlar, s’ogni parlar vien manco?
Ora di Luca fassi incontra il giorno
A tributo pigliar di sue gran lodi:
Qual man sì pigra, e sì dell’ozio è vaga,
E qual sì fredda lingua oggi disnoda
Fievole suono, e di tacer s’appaga,
Che de’ suoi pregi ragionar non goda?
O Luca, o chiaro d’Antiochia lume!
Viverà spirto d’Uom cotanto ingrato,
Che non sollevi fino a ciel tua loda?
Spirito uman fia che di te non scriva,
Di te, che a noi sì volentier scrivesti
Le sacre carte, onde s’addita il varco
Da pervenire alle magion celesti?
Ed altra volta di più bei colori
Pennelleggiolle; e ci dipinse in terra
Il caro volto, che nel ciel s’adora,
Sì che potiam goder l’alma sembianza
Di lei, che saldo a peccator fa schermo,
E non lascia crollar l’altrui speranza.
Ora chi troverem, perchè si chiuda
Con nomi eletti e ben graditi il mese?
Noi troverem Simon, troverem Giuda,
Stelle maggior nel Firmamento accese.
Vien poi Novembre, e seco viene insieme
Ad essere adorato un mar di Santi,
De’ quali al nome non ha tanti l’anno
Giorni, che sian bastanti a celebrarli
Ad uno ad uno. Esercito infinito,
Ove anima fedel pronta ricorra,
E ne i travagli dell’umana vita
Sia certa ritrovar chi la soccorra.
E s’alcuna si volge al Turonese
Pastore in Francia, ella non fia pentita.
Mai sempre desto per gli altrui conforti:
Nudi coperse, rabbellì leprosi,
Il Sole a’ ciechi, e diè la vita a’ morti.
Ma non son Cigno a celebrar sue lodi,
Salvo ben fioco: e rimarran mie note
Affatto mute, se vorrò far conte
Di Caterina le mirabil rote.
Ella nascendo sulla terra apparse