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DEL CHIABRERA | 291 |
Meg. Aretusa, gli strali, e la faretra
Di qualunque timor ponno sgombrarmi;
A vergini d’Arcadia
Non veramente son concesse l’armi;
Oggi qui son venuta
I giochi a rimirar della gran festa:
Ed ancor mi sospinge
Un possente desire,
Il qual si mi molesta,
Che non ha pace il core.
Aret. Questo novo rossore
O Meganira, che ti copre il viso,
Mi sveglia nel pensier qualche sospetto;
Ma sia che vuol, non mi tener secreta
Tua gioja, o tuo dolore;
Svelami la cagion, che ti conturba,
Ancor che fosse amore.
Meg. Ubbidirotti; omai due volte il verno
Gli alberi ha scossi delle natíe frondi,
Che se ne venne Alcippo
Ne’ campi di Liconte a far dimora;
E venne per cagion, che Menalippo
Sposò sua figlia al giovine Terillo;
Or fra le molte schiere ivi raccolte
D’amorosi pastor, nessuno in danza,
Siccome ei, destramente i piè movea,
Ne contra gli animali infra le selve
Arco più fortemente alcun tendea;
Di gran lupo cervier vestia la pelle,
Sua chioma innanellata era fin oro,
Fresca rosa le guancie, e gli occhi stelle.
Aret. Senza che più tu dica emmi palese,
Che la beltà d’Alcippo il cor t’accese;
Ma dimmi tu, da cotesti occhi tuoi
Usciro fiamme tali,
Che lasciassero caldi i pensier suoi?
Meg. Ciò, che teco parlo io di sua beltate,
Ei dicea della mia;
Ma io parlo di lui veracemente,
Egli forse di me dicea bugía;
E tutto il tempo, che ’n Liconte ei visse,
Ninfa alcuna non fu, s’a’ suoi sembianti
Massi da prestar fede,
Che più di me gradisse;
Sen venne al fine il tempo
Che qui ne’monti Caffj ei fe’ ritorno;
E fa più duro il fiel della partita,
Che non fu dolce il miel del suo soggiorno;
Dissemi sul partir, che non mai meno
Verrebbe nel suo cor la mia memoria;
Fece preghiera al Ciel, che se giammai
Vedesse un solo di, ch’ei non m’amasse,
Col più torbido tuono il fulminasse.
E per segno d’amor mi porse in dono
Questo candido vel fregiato d’oro
Che caramente in sulle chiome io porto;
E nella lontananza, e negli affanni,
Ed in ogni dolore emmi conforto.
Aret. Ma dopo la partita
Hai ricevuto segno,
Che duri nel suo cuore
L’amorosa ferita?
Meg. A me di lui novella unqua non venne,
Onde movo a cercare
S’io debbo di sua fede
Sperare, o disperare.
Aret. Meganira, l’amore a gioventute
È come luce a stella;
Vergognarti non déi d’essere amante;
Ma non vo’, che rimanga in queste pene
Tuo cor più lungamente;
Tu sei bella; e tuo sangue alteramente
Orna queste foreste;
Gli avi tuoi da Cillenia son discesi,
La qual fra noi terreni
Era come celeste;
Alcippo d’altra parte oggi non meno
Splende di giovanezza,
E suo sangue ne vien dal gran Peneo,
Che fra gli Arcadi ancor tanto s’apprezza;
A ragione Imeneo
Deve con esso Amor sempre legarvi;
Rimanti, io vo’ saper, s’Alcippo in petto
Serba l’usato foco;
Ed indi procacciar, che fatta sposa
Ti si rivolga in diletto
La tua penna amorosa.
Meg. Quando da prima Aleippo
Con sua beltà m’accese,
Della passata vita odio mi prese,
Si la stimai d’ogni dolcezza priva;
Ed oggi, che d’amor provo il tormento,
Con tutto il cor sospiro
La libertà perduta,
E d’esser serva per amor mi pento;
Così lassa desiro,
Ed a’ miei desiderj non consento;
Ma chi veggio apparire?
Parmi Logisto, ed è seco Selvaggio;
Già non voglio da loro essere scorta;
Chiudendomi qui dentro,
E se vorranno entrare
Farò, che’n van percoteran la porta.
SCENA II
Logisto, Selvaggio e Tirsi.
Tir. Or se più, come dite
Giovinetti gentili
Non fosse in questi giorni in queste selve,
Gran meraviglia arete
In veder tante turbe a passar l’ore
Così gioconde, e liete;
Vedrete in prova arcieri,
Vedrete lottatori,
E trascorrer leggieri,
Come se piume avessero, cursori.
Log. Ottimamente spesi
Dunque fian nostri passi;
Ma Tirsi io non intesi
Perchè cotal stagione
Empia si d’allegrezza il Monte Caffio.
Sel. Di farcela palese non t’incresca,
Se ne sai la cagione.
Tir. Io solla appieno, e m’apparecchio a dire:
Ne sarò lungo, udite,
Che fa dolce l’udire;
Già bellissima Ninfa in queste selve
Nacque di sangue oltra ciascuno altero;
Chiamossi Hiante, nè giammai faretra
Serbò saette si temute in caccia