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DEL CHIABRERA 295

     Posso aver di corona,
     Se contra gli avversari
     Poco arò di possanza?
     E cosa giusta non sperar mercede,
     Se virtù n’abbandona.
Sel. Io vo’ sudare in corso,
     Certo che il mio nemico
     Un caldo e spesso fiato
     E per trarre dal fianco,
     Pria ch’ei mi vegga stanco;
     E s’io non vincerò, le turbe folte
     Che ci riguarderanno,
     Diranno maggior lodi al vincitore,
     Ma me non biasmeranno;
     Or tu, che ci conforti
     A travagliar negli onorati giochi,
     Alcippo, che farai?
     Vincesti tanti premj
     Forse nel tempo andato,
     Che ne sei sazio omai?
Alc. lo son per ricoprire
     Le guancie di rossore,
     Ma pur dirò: i premj miei, Selvaggio,
     Non ti potrei contare,
     Cotanti furo; il singolar valore
     Dell’altrui gioventute
     Non ha mai per addietro
     Lasciato in questi monti
     Apparir mia virtute;
     Un anno io ricercai
     La palma infra cursori,
     Ma di più si leggier Clorindo apparve,
     Che fece in mezzo al campo apparir lenti
     Tutti noi, che superbi,
     Nome avevam, come il proverbio dice,
     Di contrastar co’ venti:
     Altra volta provai,
     Mia forza e mia ventura
     Co’ lottatori, e pur sotto Peloro
     In sulla terra andai: ultimamente
     Presi a scagliar da lungi il pal di ferro,
     Ed un certo Efialte
     Ci spogliò d’ogni loda;
     Costui sì maneggiò quel peso grave
     Come con rozza mano
     Lieve canna maneggia
     Un robusto villano.
     Rimarrebbe a provarmi
     Contra i saettatori;
     Ma non vo’ ricercar più disonori.
Log. Il tuo sì schiettamente ragionarmi
     Sarà cagion, Alcippo,
     Che teco parlerò sinceramente;
     lo per li nostri monti
     Guadagnai fra gli arcier tante corone,
     Ch’omai mi si econvien più disiarne;
     Però vo’ farti un dono,
     Col qual sicuramente
     Diman rimirerassi
     Cotesta amica fronte incoronarsi;
     Or stammi ad ascoltare.
Alc. A tuo grado favella,
     Io m’acconcio ad udire, e son sicuro
     Che dirai cosa graziosa e bella.
Log. Volgonsi omai quattro anni,
     Che per accompagnare Alcimedonte
     Feci stanza in Tessaglia,
     Egli v’andò sbandito
     Perch’uccise nei boschi di Liconte
     Per error Licofrone;
     Colassù dimorando io mi fei certo
     Di ciò ch’aveva udito;
     Io voglio dir siccome in quella parte
     Molto fiorisce il pregio,
     E d’ogni incanto la mirabil’arte.
Alc. Così parlarsi intende;
     Nelle scienze orrende
     Han color gran diletto.
Log. È vero; ma fra gli altri era una maga
     Di peregrina fama,
     Astieropea si chiama,
     Costei più di una volta
     Vidi cangiar nel volto della Luna
     I candidi colori,
     E con un cavo ferro,
     Che di sua man percote
     Farla gir per lo ciel colma d’orrori,
     Vidila sul terreno
     Tutto coperto di mature spiche
     Far correr cotal nebbia,
     Che in un momento a meno
     Venne la messe desïata, e tanto
     Alle campagne noce
     Solo col suon della terribil voce;
     Questo vidi io: ma per la bocca altrui
     Era io fatto sicuro,
     Ch’ella spesso soleva a suo talento
     Chiuder la sua persona
     Per entro un nembo oscuro,
     E gir per l’aria lunge,
     Rapida come il vento:
     È general credenza,
     Che con la forza de’ secreti accenti
     Ella frena ed arresta
     Il corso de’ torrenti.
Alc. Tale è la fè del vulgo,
     Ma le teste canute
     E gli uomini discreti,
     Che credean di cotanta meraviglia?
     lo per certo, Logisto,
     Credo che chi non crede ad ogni fama
     Con senno si consiglia.
Log. Io non vo’ contraddire,
     Odi pur: questa maga accese il core
     Per mia bellezza; ella così dicea;
     E ciò ch’io le chiedea per mio diletto,
     Mentre là dimorai,
     Non mi negò giammai;
     Venne al fin l’ora ch’io dovea tornarmi
     A’ monti di Liconte,
     Ed ella a ripregarmi
     Con ogni forza, ch’io
     Le campagne paterne
     Riponessi in obblío, e ch’io facessi
     Mia patria le Tessaliche foreste;
     Oltra calde preghiere
     Ella meco facea forti promesse,
     Non di cose leggiere
     Ma d’ogni sforzo della sua virtute
     Non ch’altro, ella volea farmi godere
     Eterna gioventute;
     lo stetti alquanto in forse, e finalmente