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DEL CHIABRERA 331

     Sempre giochi silvestri, sempre accesa
     La vidi a dar battaglia,
     E portar spoglie d’animali alpestri;
     Tanto ho da dirvi, omai
     Forniscansi mie pene;
     Questa vita odiata
     Da lei, per cui vivea
     Esser non mi può grata;
     Duri per queste selve alta memoria
     Della mia disventura; e se giammai
     Un miserabil caso ha da narrarsi,
     Dite de’ miei tormenti,
     Nè cercate altra istoria.
Mon. Avvenga, che tue colpe
     Siano assai manifeste, e tu non sappia,
     E tu non voglia addurne alcuna scusa,
     Noi sarem non per tanto,
     Come è nostro costume,
     Ben ritenuti ne’ giudizi nostri;
     E faremo preghiera a’ sacri altari,
     Perchè dirittamente
     Ogni nostro intelletto
     A giudicare impari;
     Aritea, prendi cura,
     E guarda colà dentro
     Costui sì scioccamente
     Caduto in disventura.


ATTO QUARTO


SCENA PRIMA

Montano e Tirsi.

Mon. Tirsi, maturamente ripensando
     Sul novo avvenimento, io mi conduco
     A creder volentieri,
     Che la nostra pietà non fia biasmata,
     Se daremo la vita all’infelice;
     Stimar si dee, che da principio fosse
     Posta la legge per frenar la mente
     De’ giovani orgogliosi,
     I quali in queste selve erano usati
     Fare oltraggio alle ninfe, e perturbare
     I loro onesti studj
     Con assalti amorosi; e certamente
     Contra costor la morte oltra misura
     Pena non è; ma fra le mani abbiamo
     Caso diverso; ed oserei giurare
     Non mai venuto in core
     A chi diede la legge; un giovinetto
     Impazzito d’amore, e procacciando
     Farsi sposa una ninfa, è qui venuto
     Come fanciulla, e sì modestamente,
     E sì gentili furo i suoi costumi,
     Che sempre reputossi una fanciulla
     Fra’ nostri monti, e se sì strano intoppo
     Non si faceva incontro a’ suoi disegni,
     Ei partiva di qui, che pur una ombra
     Non lasciava d’offesa; egli è caduto
     Veracemente in colpa, ma la forza
     D’amore è sua difesa.
Tir. Montano, io temerei che la pietade
     Usata verso un sol poi non riesca
     Ver la vita di molti
     Non picciol feritate; riguardando
     Alla strada, che s’apre a l’ardimento
     Della sfrenata gioventù; che in mente
     Questo caso venisse a quegli antichi,
     Che fermaro la legge, io già non posso
     Affermare, o negare;
     Ben certo si comprende,
     Che vollero munire, e far secura
     In queste selve l’onestà, per tanto
     A ciò si conservasse
     Sotto pena di morte divietaro,
     Ch’uomo qui non trattasse; or tu ripensa,
     Se costui di nascosto qui venuto
     Peccò contro la legge; egli ha peccato,
     Dirai, ma per amore, ed io rispoado,
     E dico tanto avanti,
     Che chi prende a guardar la pudicizia
     Sopra tutto la guarda dagli amanti,
     Se l’amor perdoniamo, ognor con froda
     Verran mille malvagi, e se fian colti,
     Diranno essere amanti, io non son fiero;
     Ma costui di distrugger procacciando
     L’onestà femminile, ha per tal modo
     Noi tutti offesi, che condurlo a morte
     È pena disuguale;
     Imperciò che l’onore
     Appo i cori gentili
     Più che la vita vale.
Mon. Tirsi, che questo giovane s’uccida
     È colmo di giustizia, e ch’ei s’assolva
     Pur è colmo di grazia; è forse meglio,
     Che noi pigliamo una mezzana strada
     Con la nostra sentenza,
     Diasi a costui non lieve penitenza,
     Pur ch’ei non mora, indi facciam decreto,
     Che nessuna cagion non sia possente
     A scusar l’uom, che fra le nostre ninfe
     Venire ardisca, in modo tal crudeli
     Non sarem detti,
     Fama di noi non degna, e chiuderemo
     Il passo, chè a seguirlo
     Alcun altro non vegna.
Tir. Se sì fatto ardimento
     Nei secoli avvenir meritamente
     Punirassi con morte,
     A cangiarsi la pena in questo giorno
     Quale ragione è forte?
Mon. Tirsi, tu sei fermato
     Nei pensier aspri, deh rivolgi il core
     A l’amara novella,
     Che dello sfortunato
     Riceveranno i miseri parenti,
     E tu pur fosti padre, e quando avvenne
     Che il tuo figliuolo Alcippo
     Pargoletto affogossi in Erimanto,
     Io ti vidi sommerso
     In angoscia profonda,
     E dentro un mar di pianto;
     Intenerisci il core,
     E la pena d’altrui fa che misuri
     Col tuo proprio dolore.