Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/363

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non pertanto un intelletto tranquillo ascolta volentieri quando altri conferma sua opinione bastevolmente. Ma ditemi per vostra lealtà, quegli ultimi versi, de’ quali il Petrarca e gli altri Antichi sogliono le loro canzoni terminare, non vi paiono una stanza diversa dalle altre, almeno quanto al numero de’ versi? e quivi dentro non fassi una favilluzza vedere di quello onde tegniamo ragionamento? ma che dico io? sovvienimi, che Dante fra le sue canzoni lasciò registrato questa che ora vi dirò; cioè:

O voi, che per la via d’amor passate,
     Attendete, e guardate,
     S’egli è dolore alcun, quanto il mio grava;
     E prego sol, che a udir mi sofferiate;
     E poi imaginate,
     S’io son d’ogni dolore ostello e chiave.

Questa, dettavi, è la primiera stanza. Udite la seconda:

Amor, non già per mia poca bontate,
     Ma per sua nobiltate,
     Mi pose, in vita sì dolce e soave,
     Ch’io mi sentia dir dietro spesse fiate:
     Deh per qual dignitate,
     Così leggiadro questi lo core have?

Queste due stanze intieramente sono fra loro simiglianti per quantità, e per qualità di versi, ed in ambedue i versi hanno lo stesso luogo, per modo che una puossi dire strofe, e l’altra antistrofe; ma ciò che ora io vi dirò, dirassi, e potrebbesi dire, epodo: perciocchè è di forma straniera da quelle due:

Ora ho perduta tutta mai baldanza,
     Che si movea d’amoroso tesoro;
     Onde io pover dimoro
     In guisa, che di dir mi vieti dottanza,

Quivi certo una sembianza vedesi del comporre grecamente, perciocchè Pindaro quasi tutte le sue canzoni compose epodiche; ma io non voglio pentirmi di soggiungere, che considerando la tessitura per ciascuno usata nelle canzoni, io riconosco alcun vestigio della greca antichità; ma non posso sporre il mio concetto senza recitarvi i versi. Io vi additerò così leggiermente il secreto da me osservato, e ciò prenderete a considerarvi sopra, quanto vi piacerà. Dico il Petrarca:

Sì è debile il filo, a cui s’attiene
     La gravosa mia vita,
     Che s’altri non l’aita,
     Ella fia tosto di suo corso a riva.

Questi sono quattro versi, ed il primo ed il quarto di quelli sono di undici sillabe, ed il secondo ed il terzo di sette; ne giunge il poeta quattro altri, e sono questi:

Però che dopo empia dipartita,
Che del dolce mio bene
Fece solo una spene,
È stato in fino a qui cagion ch’io viva.

Senza contrasto niuno questi quattro aggiunti secondamente sono a punto a punto come i quattro primieri: ed io dirovvi, che però quivi è la strofe e l’antistrofe; ma tutti i seguenti hanno sembianza di epodo, perchè sono più a numero e diversamente disposti. Uditegli:

Dicendo perchè priva Sia de l’amata vista,
     Mantienti anima trista
     Che sai, s’a miglior tempo anco ritorni
     Ed a più lieti giorni,
     E s’el perduto ben mai si racquista?
     Questa speranza mi mantenne un tempo,
     Or vien mancando, e troppo in lei m’attempo.

Dico che questi versi hanno sembianza di epodo; perciocchè non sono a numero quanto i recitati della strofe e dell’antistrofe, nè meno sono ordinati con la loro maniera: e tutto ciò rimirasi, per chi vuole, nella tessitura del sonetto; non potendo negarsi il primiero quaternario essere come strofe, ed il secondo come antistrofe, ma il terzetto come epodo: e se altri dicesse, che non un terzetto solo sia nel Sonetto ma due, costui sappia che anco presso i Greci fu costume di comporre canzoni con due epodi. Non so io ora come debba, o possa a voi giunger cotanto nuova la maniera tenuta dal verseggiator nostro?

C. Se gli Antichi hanno fatto come i Greci; perchè non ci basta far come gli Antichi, e non cercare nuovi titoli e nuove sembianze?

Or. Gli Antichi hanno composto, e non avvisarono in qual maniera si componessero; e però non male che ciò per noi si sappia: di avvantaggio non si dee stringere gli ingegni sì che non si possa uscire dalle vestigia altrui; ma sì nel fare canzoni epodiche, lasciare in arbitrio di ciascuno di tessere strofe, antistrofe ed epodo, come più gli piaccia.

C. io non dico che il ragionamento da voi fatto mi porga intiera soddisfazione, ma non niego che alcune cose mi abbiate sporte ben degne di considerarsi; e veggo poco potersi errare in maturar il giudicio sopra le materie da disputarsi; ma posto che tutte tessiture, di che io favellato vi ho, abbiano alcun fondamento nelle poesie antiche, qual ragione ci consiglia a metterle in frequente uso e domestico? Se siamo forniti delle migliori, a che travagliarsi dietro a poesie non buone? non veggo ragione perchè ciò fare; e volentieri alcuna ne sentirei.

Or. Io non sono per appagarvi, perchè tuttochè in Roma già ne sentissi produrre alcuna volta alcuna, io non posi mente, o non intesi, o me ne sono dimenticato; ma il nostro Geri, il quale era con esso il signor Strozzi a Roma, ed è di maggior memoria fornito che non son io, suole alcuna volta farne racconto, ed egli potrebbe compiacervi.

C. Non mi è conceduto da negozio grave domani da mattina fare a mio senno; ma facciasi così: venite amendue a cenar meco; io farò metter le tavole in cima la mia torre, ed all’aria fresca faremo ragionamento, e ci schermeremo dal caldo, il quale, questo mese di