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gore dell’animo, e si misero lo case a ruba ed i soldati a filo di spada, ed i cittadini con aspra miseria gastigaronsi della ostinata malvagità. Per questa guisa, se nello scegliere la prima impresa ebbe luogo la prudenza del duca Alessandro, nel trarla a fine fece mestiere la sua fortezza e la bravura del core, della quale entrando a parlare io già non lascierò condurmi a registare gli assalti e le difese, ed a numerare gli acquisti, perciocchè assai sono a ciascuno ben manifesti.

E chi non sa, che Alessandro Farnese entrò vittorioso a Tornai, in Odenardo, in Lira, in Dieste, in Venderlò, in Doncherche, in Sanminocco? io certamente non voglio qui nominare Disimonda, Viste, Assele, Rupermonda, Alosto, Ipri Dondermonda, Valtendone, Dimberga, Inclusa, Bruggia, Guante, Bredà; con sì fatti racconti suolsi dar loda a ciascun guerriero, ed in ogni guerra veggono di simiglianti azioni, ma io non rischiaro un campione, anzi celebro un eroe, e però sono per attenermi alle piove sole, che da lui fatte furono con maraviglia dell’universo, e me ne vengo con animo lieto ad Anversa; Anversa città per ogni parte ben chiara ed adorna di condizioni singolarissime, ma che ne’ suoi pregi assai sormonta per essere dal Farnese stata soverchiata con maestria di valore incomparabile. Onesta città, spaziosa e cinta di forti muraglie, chiudeva a sua difesa oltra venti mila combattitori, ondie a vincersi per assalto chiedeva la morte di via troppi soldati, fece dunque proponimento di strettamente steccarla, e farla cadere per lungo digiuno. Era ciò grande opera, a lato le corre una molto ampia riviera, e la marea dell’oceano crescendo trapassa oltre alla città, e gli Olandesi, abbondantissimi di vascelli e di uomini esperti, aveano modo di spesso porgerle soccorsi; giungasi, che la campagna tutta acquidosa si trascorre per argini colà appellati dicchi, e questi rompendosi, aprono via di navigare in sul terreno qualora per arte viene; inondato. Era pertanto necessaria cosa spargere quei Campi di forticelli a gran numero per guastare ogni disegno degl’inimici, ove essi si provassero sulla campagna, ma la fiumara era da serrarsi con navi e con travate, e formare un ponte sì saldo che contra la rapidezza del fiume potesse durare: sì fatto pensamento mostravasi ardito a dismisura, e da tutti i grandi uomini veniva condannato, ma l’animo di Alessandro, il quale non mai lasciossi vincere da malagevolezza ninna, ebbe a schifo le altrui paure, e mise le mani all’opra e trassela a fine, ed immortalmente s’incoronò. Ordinò dall’una e dall’altra riva dello Scalde mole di travi fortissimi, e nel mezzo di loro allogò schiera di navi bene ancorate ed insieme incatenate, e di sopra e di sotto piantò un gagliardissimo palancato, ed ogni cosa fornì di valorosissimi soldati. Con tale provvedimento resse all’impeto delle acque, anco nella maggiore asprezza del verno, e non meno all’ostinato ardimento degl’inimici, i quali per molti modi nel fiume, e sopra i dicchi fecero singolare sforzo moltissime volte, ma finalmente, riuscendo ogni opera contra speranza, Anversa per diffalta di nudrimento abbandonossi, ed accordò le sue voglie con la magnanimità di Alessandro. Questa vittoria mettemi la mano sul freno, e ferma il corso del mio sermone.

Ed in qual luogo, e per qual tempo s’accese in petto di cavaliere vaghezza di asserragliare una larga fiumara, la quale viene sovente un seno di mare? Perciocchè non solo si adoperavano spade e lancie, non solo moschettoni e bombarde, non solo la virtù de’ soldati; ma l’industria de’ maestri ingegneri per disperdere e mettere in fondo il ponte maraviglioso. Empierono gli Anversani due ampie navi di foco talmente regolato, che a suo tempo avvampando spandeva copia e di ferri e di sassi con offesa mortale e con spettacolo formidabile: queste vennero giù per lo Scalde raccomandate alla corrente delle acque, e percossero nella steccata; all’ora diventavano mongibelli, e vidersi in un momento per la campagna le fiamme d’Etna; scossesi il terreno d’ognintorno per molto spazio, ed i sassi sospinti in alto ricaddero in giuso con spaventosa sembianza di pioggia. Ciò fu vista di grande orrore; ma narrarsi a parole come è possibile? io per me di molte cose ho veduto, di molte ho sentite, di molte ho lette; nulla di somigliante per alcuna stagione dell’universo non ho raccolto. Per lo strano rimbombo l’onde del fiume sorsero fuori del letto, ed i macigni, tempestando, dall’aere si profondavano nel terreno dopo aver triti gli uomini e macinati. Il duca Alessandro era posto in mezzo di tanti pericoli, ed a’ piedi morti gli caddero suoi sergenti; e per l’aere tenebrato di foltissimi fumi non scorgeva cosa niuna; non pertanto con brando in mano, e con gridi magnanimi mantenne in fede i suoi guerrieri, e non lasciolli perdere coraggio, onde finalmente tempo ebbero e modo di ristorare le macchine guaste e fracassate. Qui infinite cose potrebbonsi porre innanzi, ma perche? Non è menzogna cotanto maravigliosa che minore non sia di questa verità; e certamente fu prodezza grande, e che malagevolmente chi verrà dopo noi condurrassi a crederla, ma, creduta, con infinite lodi fia celebrata; ed io non spenderò più parole; solamente dirò, che favellare di quest’impresa, altro non è salvo calpestrare tutte le glorie degli uomini antichi.

Con questo tenore di virtù governò Alessandro Farnese le Fiandre, e guerreggiovvi per servizio di Dio. Ora è da vedersi in qual maniera si portò nella Francia, e nelle ardenti discordie di quei grandi, ove non meno in gravissimi travagli dimorava la Chiesa di Roma; perciocchè Arrigo di Borbone, allora non re per colpa di malvagia fede, ed indi regnatore chiarissimo per giustissimo pentimento, teneva affamato Parigi, ed aveagli posto assedio ben folte, fu questa città correva pericolo lutto il reame; quinci Filippo di Spagna fece al duca comandamento che senza alcuna dimora marciasse e lesse soccorso. Era talmente prezzata la virtù di Alessandro, che ciò che non si rac-