Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/393

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si addobbavano, nè teneramente si profumavano. Ora io faccio ritorno a mia materia. Dirà alcuno; che monta l'abito? all'opere si da da guardare. E vero che deonsi guardare le opere, una gli arnesi hanno loro favella, ed alcuni modi rendono testimonianza de' costumi. Sentano le SS. VV. Umano quando a posta di Virgilio egli lodava i Latini ed avviliva i Trojani. Non ha, dice egli, non ha qui Ulisse, nè figliuoli di Ateo: siamo gente avvezza, a' disagi. Appena nati ci tuffiamo nell'acqua gelata. Trascorrere boscaglie, domare poliedri, scoccare strali è arte di nostra gioventù. Sempre il ferro ci si vede in mano: nè per vecchiezza infievoliscono gli animi. Gli elmi ci cuoprono la chioma canuta, e ad ogni ora ei giova predare, e godiamo delle rapine fatte sopra i meno valorosi di noi. A voi son care le cotte splendenti di porpora, e che per fregi gialleggino e per ricami. Il cuor vostro è rubato dalle carole, e vi pavoneggiate fra le maniche delle giubbe; e sulla testa fiocchi vi pendono dalle mitere. Castratelli di Frigia, via via per le pendici del Diadimo; colà vi chiamano i cembanelli, ed i frutti di Berecinzio. Badate a quelle tresche, e non vi prenda vaghezza in battaglie, mestiero degli uomini. Cosi favellava, o piuttosto dava sentenza Virgilio tra' Latini e' Trojani. Direte, adunque bassi da vestire e di governare il corpo sudiciamente?... Non per certo; anzi secondo luoghi e tempo vuoisi apparire nobilmente. Nella Eneide noi leggiamo, che Evandro andava da Enea, ed andovvi cinto di spada peregrina, e guarnito gajamente con pelle di pantera; c Pallante suo figliuolo uscì del palazzo con armi dorate, e con sopravvesti di porpora. E di Camilla ci si rappresenta la pompa, allora che conduceva sue schiere alla rassegna; e non tace punto che ella si avvolgeva di ostro, ed i capelli aveva rannodati in oro. E fa motto della faretra, e non meno dell'asta, come di arnesi tutti peregrini. Ed Omero racconta che Agamennone sorgendo di letto, vestissi onorataniente; ma più pienamente fa menzione de' suoi guernimenti, allora che egli esce a dare battaglia. Assai esemplj potrebbonsi mettere innanzi, ma non fa mestiere; e basta dire che la Temperanza ed ogni altra virtù è allogata tra due estremi, li quali sono da vituperarsi; ma la virtù si alloga per mano della ragione, con la quale si ha debito riguardo sopra le operazioni; e di questo forse in questo luogo altra volta terrassi ragionamento.


DISCORSO IV

Della Magnificenza1.


Io mi rammento avere nel Decamerone del Boccaccio letto assai volte, che egli pareggia un bel detto ad una bella stella in ciclo sereno, ed a' fiori di primavera con le erbe di un prato: cotanto pregio consente egli ad un motto scaltro ed accorto. Di qui discorrendo io argomento: Se il dire cotanto si loda, quanto dovrà lodarsi il fare, e se guadagnisi onore per un parlare solamente scorto e leggiadro, ben certamente se ne guadagnerà più per un'azione egregia. Ma fra le azioni umane niuna trapassa, mi credo io di dignità d'adoperare magnificamente; perciocché di qui si adorna l'operatore, si acquista a' paesi dignità, ed i secoli s'illustrano bene spesso. Spero dunque di ricevere commendazione per la materia della quale prendo oggi a favellare; e che le Signorie Vostre presteranno attentamente le orecchie per la qualità pure di lei: voglio dire, che io mi conduco a ragionare alcuna cosa intorno a quella virtù da' maestri chiamala Magnificenza.

E senz'altro appare manifestamente che ella si diletta pure nelle cose grandi; non pertanto è vero che ella si rinchiude dentro alcuni confini; e ciò sono, denari spendendosi. Però uomo magnifico sarà detto a ragion colui, il quale spenderà denari facendo cose in cui risponderà assai grandezza; ed egli, come ciascun virtuoso, è sottoposto nel suo operare alla legge datagli dalla ragione, ed avrà riguardo a quanto, a come, a dove, e quando egli spende; ed in tal modo non spenderà senza prudenza giammai: laonde noi siamo chiari, che la persona povera non può adornarsi di magnificenza, conciossachè il suo avere assai tosto l'abbandonerebbe, edotti non pure magnifico, ma si farebbe conoscere folle. Intendesi ancora di qui, che la liberalità è altra cosa, e di più dimessa che la magnificenza non è; potendo chi non si discosta dalla povertà, essere tanto o quanto liberale. Dee ancora l'uomo magnifico nelle sue azioni mostrare di non badare a risparmio, e però dee procacciar sempre che il suo dispendio si manifesti, senza guardare ad altro fuori che alla grandezza dell'opere che per lui si fanno, lì ciò fa egli perciocché la magnificenza ha l'occhio fermo alla onorevolezza, e non alla utilità. Dee similmente l'uomo magnifico tutto quello, che per lui si adopera, drizzarlo verso il pubblico onore più che verso l'onor suo particolare; dee porre cura di avanzare altri, i quali spesero in opere simigliarti, e fare si che altri non possa agevolmente avanzar lui. Vuoisi ancora che l'uomo magnifico spenda il suo con

  1. Questo è il quarto dei cinque Discorsi Morali del Chiabrera letti in Genova nell'Accad. degli Addormentati (Lat. Sopiti), e che si leggono ristampati nel Vol V, delle sue Opere, ediz. di Venezia, Geremia, 1757, col. 5 in 12°. È da noi preferito perchè parla di qualche illustre italiano, e di opere magnifiche, che a que' giorni erigevansi nell'Italia.