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torno a’ poemi, a’ quali destino i giorni noiosi dell’estate, e poi mai più veggo Muse in viso. Trastullerommi con alcuna prosa, più per vivere che per iscrivere. Di questo mondo convien uscir fuori, ed io sento i messi di morte, e non mi sbigottiscono. Vorrei ben vivere secondo la mia vaghezza, ma se non l’impetro, vivere in ogni modo. Contuttociò io non abbandono la voglia di gire in Toscana, e ritornarmene per Lombardia, e poi posarmi nell’eremo che mi appresto in Legine1. Se in altro luogo i frati mi ruberanno, non monta nulla, perciocché di terra al cielo è lo stesso cammino da qualunque parte: in terra non si vive, ben puossi guadagnare la vita promessaci nel cielo. E con questo io mi raccomando. A coteste signore fo riverenza. Gli amici saluto, ed a’ miei padri Semino e Bianco bacio le mani.

Di Savona, li 12 giugno, 1633.


al medesimo.


Il signor Francesco Bogliano, il quale ritornando dal porto si è posalo in Savona, hammi confermato che V. S. dello stomaco è grandemente ristorato. Io ne ho presa contentezza, ma ricordovi che somiglianti mali fanno siccome le fiere de’ mercadanti, cioè hanno loro ritorno. Ella dunque si governi, non da sano ma da uomo il quale voglia risanare. Hammi dato a leggere una canzone del signor Fulvio Testi simigliante di tessitura ad alcune mie, ma di bellezza e di pregio poetico molto dissimigliante. Veggo che voi altri giovani via più guadagnato la grazia delle Muse, ed a ragione: veramente io godo vedendo sorgere coltivatori eccellenti delle belle piaggio del Parnaso, paese da me con grande diletto per un tempo preso per mia dimora, ed io ho conforto che altri onori egregiamente que’ luoghi, ne’ quali io già ricercava onore. V. S. dee essere fra’ cordogli della reina Cartaginese2, e dee piangere perchè altri canti, onde poi di si fatto piangere e cantare cotesta nobiltà si rallegri. V. S. mi disse che non è senza melanconia, e che però spera di poetar bene. Io non sono con lei: uomo pensoso io stimo che sia acconcio a poetare, il melanconico non stimo acconcio nè a ciò, nè ad altro, ma per la loro vicinanza queste passioni fanno pigliarsi in iscambio. Gl’Innocenti3 io vedrei volontieri, siccome ho veduto ogni componimento di quel signore al quale le Muse liberalmente diedero il latte delle loro mammelle più che a niuno del nostro secolo. E questo è quanto io posso ragionare seco per la opportunità del portatore. Oggi il caldo si è fatto sentire, e spero che continuerà; del che io non mi lagno, perché la vecchiezza tempera l’estate. E qui faccio riverenza alle mie signore. Ed a V. S., e a tutti cotesti signori miei bacio le mani.

Di Savona, li 15 luglio, 1633.


al medesimo.


Godo in vedere che V. S. è volta a salire in sulle vette del Parnaso, perciocché non solo pensa intorno a tragedie, sovrana poesia, ma intorno queste cerca la forma perfetta Sic itur ad astra. Ora V. S. averà letto nella mia ultimamente scritta, che per tutto settembre spero di essere in Genova, e però serberomini a fare pieno discorso a bocca. E veramente simili materie vogliono dialogo per bene rischiarare la dottrina. Ora dirò solamente la mia opinione. Sperone, uomo grandissimo, soleva dire che si possono fare tutte le cose pur ch’elle si facciano bene. Dico dunque che dal Boccaccio si possono trarre favole per tragedia, ed una me ne sovviene la quale è nella novella del conte d'Anversa. Dico similmente che di favola tutta finta si può fare tragedia, e credo che la Torismondo del Tasso sia così fatta, e la parte tragica del Pastor Fido parrai che sii immaginazione del signor Guarini. E similmente dico, da nomi finti di Virgilio e dell’Ariosto e del Tasso potersi trarre tragedie, e ne veggo esempj pubblici. E perche simigliati poemi hanno il loro ultimo fine in su le scene fra teatri, i quali s’empiono di volgari persone plebee, deono potersi lodare quando da que’ sì fatti uditori hanno il loro Plaudite: Che alla fin fine i secoli si cangiano ed i costumi, ed anco per conseguenza lo opinioni, e le cose perfettissime de’ Greci a’ nostri non soddisfanno. Che s’ha egli a fare? Dare novelle leggi al mondo, il quale ha per legge il cangiar di ogni cosa? Mi direte, questa è tua opinione: é mia opinione, parlando in Banchi, parlando io Parnaso, io mi atterrei alle leggi antiche, ed amerei le composizioni perfette, e quelle rappresentare, e se mi si facessero fischi, io riderei e fischirei non meno, ché finalmente non me ne va, salvo inchiostro e fogli. Ed io, avvegnaché non straniere da’ poeti, mi rido della poesia, siccome di tutte le ciancio di questo mondo infelicissimo. A bocca, se a Dio piacerà, spiegherò meglio il mio concetto. Ora mi raccomando, e faccio riverenza alle mie signore., e dicovi che al vino da farsi Francesco ha dato ordine, ed egli dee avervene scritto. Io spero vedere pigiar le uve costì.

Di Savona, li 29 settembre, 1633.

  1. Il Casino che il Poeta aveva in Legine; forse un miglio discosto dalla marina, era posseduto da’ nobili Signori Gavotti, è destinato adesso ad usi villerecci. Sopra la Porta vi si legge:

    mvsarvm opvs

    hanc domvm cvientibvs

    gabriel chiabrera

    si bedvs aegens non asper advenis

    hospes ingredere.

  2. Forse allora in Genova si rappresentava sulle scene la Didone.
  3. Il Poemetto del cav. Marini: La Strage degl’Innocenti.