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46 poesie

     Di quest’onda Anfitrite,
     Di quest’aria Giunone,
     È cotal genitrice,
     60Che quasi Berecintia è men felice.
Ecco a terra, e mal viva
     L’iniqua fama, che per modi indegni
     Impoverire ardiva
     Del più bel pregio i femminili ingegni.
     65Non san costor, che se ne’ Frigii regni
     Era da que’ guerrier Cassandra intesa,
     Non piangeva Asia in grave duol sommersa,
     Nè cadea Troja nelle fiamme accesa?
     Ma la ria turba avversa
     70In sì gentil contesa
     Vo’ saettar con strali,
     Che di forza in ferir non hanno eguali.
Chi mosse in campo forte,
     Unica speme di Betulia afflitta,
     75E chi difesa e scampo
     Fu del Popolo Ebreo, salvo Juditta?
     Ella col senno e colla destra invitta,
     Che ’l fosco obblío da saettar non hanno
     Disprezzando l’acciar d’empia falange,
     80Troncò la testa al Persïan tiranno:
     Allor di là dal Gange
     Corser voci d’affanno;
     E flebili dolori,
     Ma fioriro in Sïon palme ed allori.
85O bella Clio, se intendi
     D’antico tuo fedel voce dimessa,
     Di nuovo l’arco tendi,
     E sia il quadrel della faretra istessa,
     Nel tempo rio che al fiero Aman concessa
     90Fu per troncarsi ad Israel la vita.
Manca il resto.

LXVII

SOPRA ALCUNE VITTORIE DELLE GALERE DI TOSCANA

CANZONE PROEMIALE.

Firenze al cui splendore
     Ogni bella cittate aspira indarno,
     Inclita figlia d’Arno,
     Che al Padre cingi d’ogni onore il crine,
     5Non conturbare il core,
     Se oggi mi prende obblío di tua memoria,
     Nè fo sonar la gloria,
     Sorta ben salda infra le tue ruine
     Mie labbra non sian mute
     10Al tuo nome; ventura
     Stimo carte vergar de i pregi tuoi;
     Emmi in cor la Virtute,
     Onde inalzò tue mura
     La magnanima man de i prischi Eroi
     15Tuoi germi; ora disvia
     Il suon dell’arpa mia
     Euterpe, e fammi ardente
     A dir ne’ salsi regni
     De’ tuoi feroci legni.
     20Spavento all’Orïente.
Che non si stanca in corso,
     Lo scettrato figliuol di Ferdinando,
     Anzi s’avanza, e quando
     La campagna del mar ponsi in periglio,
     25Agli afflitti nocchier porge soccorso,
     E cangiando fulgor d’ampi tesori,
     Con immortali allori,
     Dalla bella Virtù prende consiglio,
     Deh che giova sotterra
     30Tracciar tante miniere,
     E del volubil ôr tante far prede,
     Se in arca indi si serra?
     Hassi a sporre al volere,
     Ed alla man di non ben noto erede?
     35Deh no; l’oro è ricchezza,
     Che a ragion s’apprezza,
     Se il possessore onora,
     E quando in opra grande
     Nobile man le sponde,
     40Egli via più s’indora.
Aperti, o Cosmo altero,
     Son per le glorie tue varchi diversi;
     Ma pure oggi miei versi
     De’ tuoi famosi segni aman la scorta;
     45Nè quinci il mio sentiero
     Andrò radendo, l’arenosa sponda,
     Che per l’onda profonda
     Infaticabilmente ardir gli porta;
     Eolo mai non dislega
     50Spirto così sdegnoso,
     Che all’ampie vele osi di fare oltraggio;
     E se remo si spiega
     Per entro il campo ondoso,
     Lenta l’Aquila sembra in suo viaggio;
     55Però la terra Argiva,
     E l’Africana riva
     Ne son tremanti al nome,
     E scorgono dolenti
     Ognora infide genti,
     60O fuggitive, o dome.
Ma se tua bella armata
     Peregrinando in mare alza trofei,
     Tu non manco per lei
     Ben ferma gitti l’áncora nel porto
     65Di vita fortunata.
     A biasmare il mio detto alcun non mova,
     Che manifesta prova
     Fa schermo alla giustizia incontra il torto;
     Al mondo un cor gentile
     70Per uso arde desire
     Di fama illustre, e di ben gran possanza;
     D’altro lo studio è vile;
     Perchè di non morire
     Fra’ mortali sciocchezza è la speranza;
     75Ora tuo scettro appieno
     È grande, tuo terreno
     Bacco ama, e Tritolemo,
     E per te ricco ondeggia
     Il mare, e la tua reggia
     80È bella in sull’estremo.
Splendere a te d’intorno
     Veggiam lampi di gloria i più vivaci,
     E nel regno de’ Traci
     Ad ognor se ne carcano tue navi;
     85Dunque in van non t’adorno;
     Ma, per grazia, d’entrar mi sia concesso
     Nel giocondo Permesso,
     Onde il coro Febeo volge le chiavi.