Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/69

Da Wikisource.
56 poesie

Di piaghe alcun non dica;
     Che bella rimembranza
     D’un trofeo raddolcisce anco la morte;
     60Ed è parola antica,
     Che col sangue s’avanza
     Chi nell’armi desía nome di forte;
     E sa ciascun, che i cavalier sublimi
     Son tra gli assalti a trovar morte i primi.

LXXIX

Quando nelle marine di Corsica si conquistarono due galeoni, fecersi schiavi centosessanta Giannizzeri.

XII

 
Se allor che fan ritorno
     Co’ Traci incatenati
     Le belle di Firenze armate prore,
     Dovesse alzar Livorno
     5Tronchi di spoglie ornati
     Per vero testimon d’alto valore,
     Già foran di trofei carchi suoi lidi;
     Ch’estate mai non riede
     Senza mirare afflitti i mari infidi
     10Da celebrarsi prede.
Dianzi udiro le sponde
     Di Corsica guerriera
     Cavi bronzi avventar fulmini e lampi
     E rosseggiaro l’onde
     15Per battaglia aspra e fiera,
     E furo di Nettun funesti i campi.
     I Gianizzeri fier sul gran momento
     Arser d’alta virtute,
     Che non si combattea lana ed armento,
     20Ma la lor servitute.
Qual crudi orsi vellosi
     Vibrano l’unghia e ’l dente,
     E contra il cacciator cercan difesa,
     Tale i tanto famosi
     25Campion dell’Oriente
     Nel periglio sovran fecer contesa
     Ma nulla fu; poichè feroci esempi
     Lasciaro infra’ nemici,
     Caddero al fin: gli scellerati e gli empi
     30Son mai sempre infelici.
Allor gl’incliti legni
     Volgean le vele ardite
     Il gran Livorno a rallegrar non tardi
     E negli umidi regni
     35Le figlie d’Anfitrite
     Verso loro tenean cupidi i guardi.
     Cosparso di coralli, alteri fregi,
     Suonava il buon Tritone,
     Ma Proteo alzava canti, e crescea pregi
     40Di Cosmo alle corone.
Dicea Forza Ottomana,
     Per cui giacquer disperse,
     Strano a pensar! tante province altere
     La discordia cristiana
     45Fu che il varco t’aperse
     A cotanto splendor, non tuo potere;
     Discordia, mostro fier del tetro inferno,
     Che foco orribil spira;
     Ministra rea del correttor superno,
     50Allor ch’egli s’adira.
Ma se giammai sapranno
     Pigliar nobil consiglio
     I Re d’Europa, ove il gran Dio s’adora,
     Maomettan Tiranno,
     55Vedransi in gran periglio
     I ricchi regni, onde esce fuor l’Aurora:
     Che non faranno allor cotanti stuoli,
     Carchi di tante glorie,
     Se oggi di Cosmo gli stendardi soli
     60Han cotante vittorie?
Mentre ei lieto dicea,
     Apparve i crespi crini
     Di bianche perle inghirlandata Dori;
     E l’alma Galatea
     65Su’ frenati Delfini
     Movea pensosa de’ passati amori;
     E prese immantenente a’ cari modi1
     Dell’armonie soavi,
     S’inviaro a Livorno, e davan lodi
     70All’onorate navi.

LXXX

Quando a Capo di Spartivento in Calabria si conquistò un Galeone, e nell’Arcipelago sotto la fortezza di Schiatti si prese una galera. Liberati duecentotrentadue Cristiani, fatti schiavi duecentotrenta turchi.

XIII

Cosmo, sì lungo stuol lieto in sembianza,
     Che a’ tuoi piedi s’atterra oggi dal seno,
     Perchè franco lo fai, letizia spande.
     Ei dee ben conservar la rimembranza
     5Di questo giorno, e tu di lui non meno,
     Che quante volte in terra anima grande
     Felicità comparte,
     D’assimigliarsi a Dio ritrova l’arte.
Sforza dunque, o mio re, l’alto pensiero,
     10Onde gli scettri tuoi splendono chiari:
     So che di torri e che di mura eccelse
     E forte quel che tu governi impero;
     O guardi l’Alpi, o pur difenda i mari:
     So che suoi pidi in lui Cerere scelse,
     15E che le genti industri
     Son di Minerva nelle scuole illustri.
Ma contrastati se ne van repente
     Tai pregj al vento: ecco la terra Argiva
     Langue tra’ ceppi, e di catene è carca;
     20E dell’aspro Quirin l’inclita gente,
     Quando di palme eterne alma fioriva,
     Calpestando superba ogni monarca,
     Trionfo tanto e vinse,
     Perchè la spada infaticabil cinse.
25Dannata vista, e di mirarsi indegna,
     Gioventù, che di gemme orni le dita,
     Che increspi il crine, e che di nardo odori!
     Ell’hassi da mirar sotto l’insegna,
     Che scuotendo cimier minacci ardita.
     30Che dallo sguardo fier versi furori,
     E che d’onor ben vaga
     Esponga il petto a memorabil piaga.

  1. Prese a’ cari modi. Elegante locuzione, e vuol dire: rapite all’udire i cari modi.