Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/137

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LIBRO PRIMO 127

e della città pur ella nomata Porto, capitarono a Roma Valentiniano e Martino alla testa di mille e cinquecento cavalieri, Unni il più, Sclabini ed Antii, originari del paese di là dal fiume Istro, ma non lunge dalla ripa. Belisario confortato in suo cuore di tale venuta divisò affaticare con ischermaglie continue il nemico, al quale effetto nel dì appresso ordina ad una sua lancia, Traiano di nome e nell’oprare coraggioso e indefesso, di farsi con dugento pavesai per diritto alla volta de’ barbari, e avvicinatine i campi di preoccupare un poggetto da lui indicato ove si rimarrebbero chetamente; di più qualora il Gotto assalisseli Traiano impedirebbe ai suoi il combattere da vicino ed il porre mano alla spada o all’asta; e’ piglino in cambio a trarre d'arco, ed esaurito il saettamento voltino pur gli omeri senza arrossirne, riparando alle mura: terminato così il comando fe’ approntare le baliste ed il servizio loro; l’altro co’ suoi dugento uscito della porta Salaria si diresse verso il campo nemico. I barbari sorpresi da questa improvvisa comparsa piglian tutti di proprio volere la difesa e gittansi fuori degli steccati. Il drappello di Traiano in quella, di su la prominenza indicatagli da Belisario, cominciò a molestarli con frecce, le quali avventate nel mezzo di folta gente davano tutte in brocco, ferivano ciò è o cavaliere o cavallo: i Romani, vuotati i turcassi, allentando le briglie spronarono i destrieri alla ritirata, co’ Gotti mai sempre alle calcagna. Accostatosi poi il combattimento alle mura e da quivi dato mano alle baliste, il nemico sopraffatto dallo spavento s’arresta, avendo perduto nel conflitto, giusta le riferte,