Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/182

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172 GUERRE GOTTICHE

marittima città della Tuscia, nobilissima, grande, assai popolosa, e lontana da Roma, all’occaso, dugento ottanta stadii. Fattivisi pertanto gl’imperiali molto accrebbero con essa le forze loro, e vie più ancora impossessandosi non altrimenti della città d’Albano, rimpetto alla parte orientale di Roma, evacuata di fresco per fame dal nemico. Mercè di che inviperito costui forte bramava di rompere gli accordi coll’apporre alla fazione contraria qualche frode; al qual uopo manda a Belisario oratori, i quali querelandosi di sofferti oltraggi in violamento della tregua, adducono che avendo Vitige chiamato la guarnigione di Porto a nuovi destini, funne di subito occupato il castello da Paolo e dagli Isauri; così pure fingono querelarsi della egual cosa per rispetto a Centomcelle ed Albano, aggiugnendo che non lascerebbero invendicato il torto se non venissero quanto prima restituiti loro i prefati luoghi. Ma il duce accommiatali con ironico riso e col nomare vano pretesto le udite doglianze, non avendovi chi ignorasse il vero motivo per cui ritrassersi da que’ luoghi; dopo di che vissero diffidenti gli uni degli altri. In processo di tempo Belisario vedendo Roma abbondante di truppe mandonne schiere ne’ dintorni a qualche distanza dalle mura, e spedì Giovanni figlio della sorella di Vitaliano a svernare cogli ottocento cavalieri da lui comandati presso Alba città del Piceno; e ve ne aggiunse altri quattrocento di quelli sotto Valeriano, aventi a capo il costui nipote, da parte di sorella, nomato Damiano, ed ottocento valentissimi suoi pavesai, datone il reggimento a due proprie lance Sutan ed Abigan, subordinando anch’